In politica il bicchiere è sempre mezzo pieno. Purché ci sia una goccia d’acqua, cantare vittoria è la regola. Nel bicchiere di Silvio Berlusconi c’è anche più di qualche goccia, e l’uomo, si sa, è ottimista di natura. La vittoria in Liguria è un’àncora di salvezza, permette di evitare la catastrofe, Campania o non Campania. Ma forse la sconfitta di misura in Umbria è ancora più preziosa: le due Regioni rosse, una conquistata, una persa per un soffio, provano che è vero quel che Silvio ripete da mesi. Unito, il centrodestra ha qualche chance. Diviso, non arriva al ballottaggio. Ecco perché nel quartier generale azzurro si respira ottimismo. Quel che è vero per l’ex sovrano, è vero anche per il Matteo nordico. Da solo al ballottaggio non ci arriva nemmeno lui. Dovrà piegarsi.

Di fatto, la trattativa è già iniziata. In ballo c’è la natura politica del centrodestra, quanto modellato sul Sarkozy redivivo e quanto su Marine Le Pen. Ma in ballo c’è anche la leadership, e sul punto Salvini non la manda a dire: «La porta per Berlusconi è spalancata, ma non siamo disposti a mezze misure. E’ un uomo saggio e i numeri li sa leggere anchelui». Anche sul fronte della politica, il disaccordo tiene banco. Ieri l’ex leader del centrodestra e il giovanotto che mira a sostituirlo si sono sentiti e guarda caso, il punto dolente è stata l’Europa: «Non ho mai pensato che Berlusconi fosse finito. Ma se dobbiamo fare un’alleanza, bisogna dire che sulla Ue noi a Fi abbiamo visioni molto diverse», ammette Salvini.

Classiche schermaglie da trattativa appena avviata. La prospettiva dell’alleanza è nell’ordine delle cose, dettata dai risultati elettorali. Lo sanno entrambi i leader: dovranno almeno provarci, e seriamente. Non è solo questione di percentuali o di regioni conquistate. A imporre la resurrezione del centrodestra è prima di tutto l’affermazione dell’M5S. Con i pargoli di Beppe tutt’altro che scomparsi, la prospettiva di non arrivare al ballottaggio con l’Italicum, senza l’alleanza, non è un rischio. E’ una certezza.

Se dal punto di vista degli schieramenti il chiodo fisso di Berlusconi è ricostruire il «suo» centrodestra unificato, da quello della politica propriamente detta il cruccio principale si chiama astensionismo. Chi ieri gli ha parlato, come Brunetta, racconta che l’ex ammaliatore di folle è ossessionato sopratutto dalla fuga verso il non voto di tanti, tantissimi suoi elettori. Come recuperarli però Silvio non lo sa. I beninformati dicono che il grande piazzista di Arcore avrebbe già in mente «un’iniziativa», ma sembra una di quelle cose che nel palazzo azzurro vengono dette un giorno sì e l’altro pure. La diagnosi a caldo dell’ex cavaliere probabilmente è giusta: la riunificazione della destra forse non sarà sufficiente, ma certamente è necessaria. Solo che qui il problema non è solo Matteo Salvini. I conti andranno fatti anche con Fitto, pena l’impossibilità di portare al tavolo delle trattative con il Carroccio il peso del sud, come il caso pugliese ha platealmente dimostrato, e poi con Angelino Alfano.

Con Fitto, il barometro continua a segnare tempesta. I gruppi parlamentari del pugliese dovrebbero essere pronti. Non lo sono affatto. Al Senato ben 5 senatori su 12 recalcitrano. Il braccio di ferro con Arcore non accenna a stemperarsi, e ormai, da una parte come dall’altra, è una questione personale: «Basta con la monarchia. Ci vuole una fase nuova per ricostruire il centrodestra», dichiara bellicoso il ribelle. In realtà quel che per Fitto è assolutamente intollerabile è la primazia di Salvini, il suo ruolo centralissimo che Berlusconi, sia pur senza cedere sulla leadership, si va già acconciando ad accettare.

Identico spettro tormenta l’Ncd. Anche loro vogliono prima di tutto, «ricostruire il centrodestra» e sembrano rassegnati ad accettare quel che sino a ieri rifiutavano in partenza: la presenza dei barbari leghisti nella ricostruenda coalizione. Ma leader no. Questo mai. «Se lui è il leader, la vittoria di Renzi è assicurata», sibila Schifani. «Salvini deve decidere se aprire un confronto con tutto il centrodestra o diventare il capo di una destra estrema», media mellifluo Quagliariello. In parte, dato l’esiguo carneire elettorale, è il ruggito del topo. Ma in parte no: anche il drappello dell’Ncd e di Area popolare ha il suo peso nello spostare quel voto meridionale che è fondamentale per trattare in posizione non subordinata con il tracotante padano.

La partita sarà lunga, e non dipenderà tutta dagli umori dei politici della destra italiana. Peserà moltissimo la sorte della Ue, il suo recupero o tracollo di popolarità. E peserà la capacità di individuare un leader capace di raccogliere più voti di Salvini, il solo argomento sodo contro la sua scalata al vertice. Berlusconi lo sta cercando. Non lo ha ancora trovato.