L’altalena dei dati sulle tendenze del virus ci costringe ancora a guardare con incredulità alla fase successiva all’emergenza. Lo spartiacque, per dare certezze e serenità a tutti, sembra inevitabilmente essere il vaccino. Nell’ultimo mezzo secolo la vaccinazione è diventata una pietra miliare della salute pubblica. I vaccini hanno salvato innumerevoli vite, e un vaccino contro il virus Covid-19 farà lo stesso.

Ci sono già almeno 40 tipi di possibili vaccini in fase di sviluppo, nessuno di questi sarà disponibile quest’anno, ma più possiamo sperare per la prima metà del prossimo. Eppure quando avremo l’annuncio non potremo dire che tutto sarà risolto. Il vaccino ci rassicurerà che il contagio potrà essere fermato. Ma ci interrogherà sul modo in cui sarà meglio usare questo strumento ,che da sempre accende conflitti e contrapposizioni.

E’ evidente che oggi, nel pieno del gorgo del Covid-19, porre la questione di come sarà gestito il vaccino potrà sembrare quasi frivola, se non del tutto inutile. In fin dei conti, si dirà, dopo tanta attesa, quando lo avremo lo dovremo solo distribuire, che problema ci potrebbe essere?Eppure non è cosi.

Pensiamo che solo fino a qualche settimana fa in molti paesi la riluttanza di genitori a far vaccinare i propri figli era ancora corposa. Ma non si tratta solo di superare opposizioni di principio o antiche diffidenze. La storia della medicina è segnata da numerose campagne di vaccinazione  di massa  che ci rimandano a contrapposizione, conflitti , antagonismi che hanno dilaniato interi continenti.

Per questo ci sembra utile, già da ora, mettere sul tavolo i potenziali problemi di ciò che viene percepito come il rimedio contro la pandemia, con la speranza che ciò possa essere d’aiuto nell’ elaborazione di una strategia condivisa ed efficace. Intanto sarà importante capire quale contesto avremo fra qualche mese, in quale stagione psicologica e sanitaria arriverà il vaccino. Augurandoci che una combinazione di misure igieniche, sociali e terapeutiche abbia portato l’attuale epidemia sotto controllo, due possibili scenari ci sembrano plausibili.

Apatia globale

Nel primo scenario consideriamo incombente il  pericolo di una possibile apatia globale. E’ plausibile, infatti, che quando il vaccino sarà disponibile non saremo più in stato d’emergenza. Guardando indietro , alle proprie spalle, in quella prossima estate 2021, in cui auspicabilmente potremmo avere la disponibilità del ritrovato, la gente  sarà portata a vedere il corona virus, ormai estinto, come una normale influenza. Pensiamo che ancora oggi qualcuno, nel pieno dell’infuriare dei ricoveri ha insistito per questa definizione.

Se quella sarà la stima generale. Dobbiamo  calcolare che i tassi di vaccinazione contro l’influenza stagionale tra gli over 65 in Europa variano da oltre il 72% nel Regno Unito, a meno del 12% in Slovenia. Un range ampio in cui troviamo praticamente tutta l’Europa. Del resto non mancano esempi di vaccini attesi con ansia e poi snobbati. Lo stesso è accaduto con il vaccino HPV, il ritrovato immunizzante dal virus del Papillomaumano (infezione legata soprattutto allo sviluppo del cancro del collo dell’utero), per il quale i tassi di vaccinazione sono sempre stati più bassi del previsto, quasi ovunque.

Anche in quel caso si parlò di apatia globale. I numeri ci indicano enormi differenze da paese a paese. Mentre nel 2012 è stata vaccinata l’ 86,4% della popolazione target (ragazze adolescenti) in Scozia, in Grecia è stato raggiunto solo il 9%. In questo caso, le differenze registrate sono state spiegate come conseguenza dei diversi programmi d’immunizzazione. I tassi di vaccinazione sono risultati più elevati lì dove si è proceduto attraverso ripetute campagne all’interno del sistema scolastico, mentre dove la somministrazione è rimasta all’interno di ospedali ed ambulatori i dati sono precipitati.

Inoltre dobbiamo segnalare che la vaccinazione può anche diventare un terreno di conflittualità  in termini politici, come è accaduto in alcune realtà sudamericane ad esempio, in cui le autorità governative hanno usato le campagne di vaccinazioni come strumento per il controllo del territorio imponendo con la forza la pratica di immunizzazione. Un vaccino non condiviso, e comunque non supportato efficacemente, che effetti potrebbe produrre?

Molto dipenderebbe dalla dinamica e ritmo dell’inevitabile immunità di gregge, che è lo scenario alternativo alla vaccinazione, un fenomeno  questo che varia a seconda degli agenti patogeni, e del “tasso di diffusione”, il cosiddetto fattore R0 (Erre con zero), ovvero il numero medio di persone che  un soggetto portatore dell’infezione potrà contagiare.

I dati attuali, soprattutto quelli che stanno emergendo dalla realtà italiana, la più avanzata in Europa e con un alto R0, ci dicono come le maggiori criticità per la gestione delle misure di distanziamento interpersonale vengano dal comportamento  di specifici gruppi e figure sociali ,come gli asintomatici giovani,  che si considerano a basso rischio, o quelle comunità emarginate da barriere linguistiche e culturali.

In presenza di queste forme di apatia, o addirittura di resistenza attiva, cosa potrebbe accadere? Qualora si dovesse paventare  una diffusione, anche limitata, di infezioni, è la vaccinazione obbligatoria la soluzione? Quali livelli coercitivi saranno considerati accettabili? L’odioso dilemma fra sicurezza e libertà apre pericolosi varchi in una democrazia moderna.

Il secondo picco

Il secondo scenario vede  l’epidemia riemergere. Scatterebbe in questo caso un allarme di massa, in cui governi ed opinione pubblica sarebbero reciprocamente sollecitate ad azioni forti. Innanzitutto si penserebbe a procurarsi il vaccino in quantità rassicurante. Molte delle aziende in prima linea nello sviluppo del farmaco ancora sperimentale sono piccole imprese biotecnologiche, a volte start up, o spin off universitari. La produzione comincerà ad inseguire la  domanda internazionale che tenderà a salire vertiginosamente, superando di gran lunga l’offerta iniziale. Lo abbiamo visto in queste settimane con la corsa alle mascherine o ai respiratori. Le persone torneranno a morire, a secondo della propria vulnerabilità anagrafica e sociale, e si scatenerà la corsa ad essere vaccinati.

In questo gioco  impazzito fra domanda improvvisa a offerta limitata tutto diventerà complicato e opaco, a cominciare dai costi che si impenneranno. Sappiamo che il nuovo vaccino sarà  costoso e che, soprattutto nella prima fase, ve ne sarà una quantità insufficiente. Si riprodurrebbe la solita gerarchia internazionale: i paesi poveri, con sistemi sanitari deboli, saranno relegati in coda alla fila, per quanto grande potrà essere la loro necessità.E’ una storia che abbiamo già visto, è quello che è successo con i vaccini HPV nel 2006, che hanno avuto una distribuzione asimmetrica rispetto al bisogno reale.

L’80% delle donne colpite ogni anno da una malattia legata all’HPV vive in paesi a basso e medio reddito, in cui il costo di 360 dollari per un ciclo completo di vaccinazione risultava assolutamente proibitivo e al quale, infatti, non hanno avuto accesso per tutta la prima fase di distribuzione.

Altrettanto illuminante risulta l’esperienza  del vaccino contro l’influenza H1N1 nel 2009. In questo caso la limitata disponibilità del prodotto ha  ancora una volta penalizzato del tutto i paesi del terzo mondo. Ma anche i paesi ricchi hanno dovuto dibattersi in questo gorgo di domanda insoddisfatta. Persino la zona forte del pianeta, che inizialmente riceveva i vaccini con il contagocce, dovette contingentare le operazioni di distribuzione, costretti a selezionare i pazienti da sottoporre al trattamento e chi invece lasciare ad aspettare.

Proprio sulla scorta di quest’ esperienza si sono adottate policy di indirizzo nelle strategie di approvvigionamento e di distribuzione del prodotto, selezionando le priorità e le gerarchie nella somministrazione del vaccino: la priorità dovrebbe essere data agli operatori sanitari e alle persone a maggior rischio medico. Abbiamo visto proprio in queste settimane  quali gli effetti di un personale ospedaliero non protetto prioritariamente. Per questo bisogna elaborare e condividere ora, subito, una guida chiara, una safe policy nazionale. Come, per esempio, l’importanza di recintare velocemente le zone di rischio primario, e di possibile ulteriore diffusione del contagio, come sono appunto gli ospedali. Ma proprio la possibile riproposizione dell’epidemia, con il ritorno a stati di emergenza e disperazione, potrebbe rendere non condivisibili e accettabili per tutti queste strategie.

Si potrebbero porre richieste prioritarie da parte di regioni o città particolarmente investite dal virus, come si è verificato  in Lombardia o in alcune aree del Veneto. Un criterio orizzontale, in base ai dati locali, potrebbe però essere contestato da chi invece chiede di attenersi alla formula egualitaria, ad una distribuzione proporzionata alla popolazione in tutto il paese.

Ritorneremo così a far pesare sulla bilancia il piatto dei rischi o quello delle regole? Sarebbe meglio soffocare un focolaio che potrebbe rivelarsi poi ingovernabile, o comunque rassicurare l’intera comunità nazionale proteggendo le categorie più esposte? Tocca alla politica rispondere a questa drammatica domanda. Ma sarebbe meglio se ci preparassimo prima.

Un altro aspetto che andrebbe subito definito in sede intergovernativa riguarda le procedure commerciali.Proprio l’esperienza che abbiamo richiamato  del vaccino H1N1, di un decennio fa, mostra come tutto potrebbe diventare labile ed insicuro, addirittura selvaggio. Persino i contratti già firmati e garantiti. Secondo la prassi, in presenza di una pandemia, vengono automaticamente attivati i contratti di fornitura precedentemente stipulati con le case farmaceutiche. Ma rimangono ancora tutto da stabilire le modalità e anche le condizioni finanziarie.

Come abbiamo già accennato, nell’emergenza del H1N1 si sono verificati veri colpi di mano, in cu alcuni paesi hanno avuto anche più di quello che avevano ordinato, mentre altri si sono trovati abbandonati, senza nessuna fornitura. In queste emergenze accade di tutto, come possono testimoniare gli addetti ai rifornimenti che in questi giorni battono i mercati internazionali in cerca di apparecchi e dispositivi biomedicali.

In quelle circostanze, i governi furono costretti a tenere segrete molte clausole dei contratti, tra le quali quelle che assolvevano i produttori da qualsiasi responsabilità sanitaria per tutti gli eventuali effetti collaterali. Come quelli che poi, purtroppo, hanno scosso Svezia e Finlandia. In questi paesi sono stati confermati almeno 300 casi di narcolessia con cataplessia scatenata dal vaccino tra bambini ed adolescenti.

Potenziali effetti collaterali, sono un rischio che potrebbe presentarsi  in procedure accelerate, in cui la frenesia potrebbe spingere ad un’anticipata somministrazione di vaccini appena brevettati, che non hanno avuto  fase di sperimentazione e verifica . In questo caso sarebbe davvero colpevole non prevedere limiti e garanzie per chi fosse esposto a questa forma di vaccinazione.

Niente di tutto ciò  deve screditare  il valore cruciale di un vaccino Covid-19. Ma a prescindere dalle nostre speranze, l’autorizzazione di un vaccino sicuro ed efficace non potrà mai, di per sé, risolvere il problema delle malattie epidemiche. Spetterà sempre alla società, alla politica, in fin dei conti alla democrazia, decidere e rendere una conquista scientifica un valore sociale condiviso.

 

*Stuart Blume: Professore emerito di “Studi di Scienza e Tecnologia” (Science and Technology Studies) presso l’Università di Amsterdam. Da più di quindici anni studia i vaccini e le pratiche d’ immunizzazione. Nel suo ultimo libro “Immunization. How Vaccines became Controversial” (Reaktion 2017), offre una prospettiva storica sul dibattito politico intorno la vaccinazione.

Maurizia Mezza: dottoranda in Antropologia Medica presso l’Università di Amsterdam, studia i vaccini del papillomavirus (HPV), gli interventi di salute pubblica attraverso cui sono stati somministrati ed i metodi epidemiologici di ricerca e sorveglianza.