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È ora di rimediare al «pasticciaccio» del 27 febbraio

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Italia/Stato palestinese È urgente che entri in scena il consesso internazionale, ricordando al nuovo governo che le risoluzioni dell’Onu vanno rispettate

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 17 marzo 2015

Nella campagna elettorale israeliana la questione palestinese è stata pressoché rimossa. Per non dire delle occupazioni dei territori o delle stesse risoluzioni Onu. Come sempre, però, il voto in un certo modo costringe a qualche riconsiderazione.

A maggior ragione, è urgente che entri in scena il consesso internazionale, ricordando al nuovo governo che le risoluzioni dell’Onu vanno rispettate. Così, è necessario che l’esecutivo italiano esca dal silenzio, che d’oro proprio non è. Anche per rimettere chiarezza dopo il «pasticciaccio» di quel venerdì 27 febbraio, quando andarono deluse le attese che avevano animato tanti di noi, in merito al voto dell’aula della Camera dei deputati sullo Stato di Palestina. Come deprecabile è stata la rimozione seguita a quell’«accidente». Torniamo a quell’infausta giornata.

Fu così forte e intensa l’amarezza che – sbagliando- chi scrive (tuttora presidente dell’Associazione Italia Palestina) a botta calda tentò in un comunicato di salvaguardare almeno la frase «a promuovere il riconoscimento della Palestina quale Stato democratico e sovrano entro i confini del 1967», contenuta nella mozione a firma Speranza, Locatelli e Marazziti. Mentre lo stesso Pd diede il via libera al testo del Ncd alfaniano. Doppiezza non togliattiana, molto meno.
«Donabbondismo» Pd.

Quest’ultimo è un partito-contenitore, in cui albergano tranquillamente un’opinione e il suo contrario. È vero che il giorno successivo il ministro Gentiloni da Teheran fece qualche apertura, ancora tutta da verificare. Vicenda derubricata? Proprio le elezioni israeliane costringono ora a riaccendere i riflettori. Infatti, ha dell’incredibile che l’Italia – storicamente schierata sulla antica parola d’ordine «Due popoli, due Stati»- stia rasentando anche qui i bassifondi della classifica europea, visto che Svezia, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Belgio hanno deciso per il riconoscimento, come pure il Parlamento della Ue.

È mai possibile che la linea italiana si riveli la più realista del re, così subalterna ai voleri dell’(ex?) governo del premier Netanyahu, largamente considerato uno dei più a destra del mondo? Eppure un appello fu lanciato da diverse centinaia di personalità israeliane, tra cui Grossman e Yehoshua, nonché Amos Oz cui si deve pure il saggio (Corriere della sera, 4 marzo) «Uno Stato palestinese è garanzia per Israele».

E anche in Italia c’è fermento. Per dire delle illuminate e battagliere dichiarazioni di Moni Ovadia. Purtroppo, però, risorgono anche forme censorie, come l’ostracismo verso lo storico israeliano controcorrente Ilan Pappé, cui non è stato possibile tenere una conferenza all’università Roma Tre. E così altri dibattiti impediti. Il voto non è l’occasione per riprendere il dibattito pubblico? Se non sono certo in discussione i diritti del popolo ebraico, lo sono le linee oltranziste e coloniali di Tel Aviv.

Netanyahu ha giocato la carta della destra americana, sfidando Obama. Gli servirà? A quanto pare non tutto fila liscio. Anche nel villaggio globale. Va rammentato che il 29 novembre del 2012 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite votò per il primo stadio del riconoscimento della Palestina, Italia compresa.

Un punto di vista democratico è urgente per evitare che lo Stato della Palestina arrivi al traguardo finale quando il territorio su cui dovrebbe insistere sarà stato assorbito dagli occupanti. La vicenda palestinese è un elemento fondamentale della politica in e sul Medio Oriente. Il voto per la Knesset è un passaggio delicato. Il successo e la crescita dei fondamentalismi potrebbero, purtroppo, trovare alimento in un Parlamento di destra. Che non accada.

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