Gloria Steinem, icona del femminismo americano, giornalista, fondatrice di Ms Magazine – a 86 anni ormai testimone della propria stessa canonizzazione come matriarca del movimento e personaggio simbolo della lotta per l’uguaglianza, dagli anni 60 a oggi.

Comprese recenti apparizioni come personaggio protagonista di fiction, per ultimo in Glorias, biografia “polifonica” firmata da Julie Taymor (Frida, Across the Universe) in cui il personaggio di Gloria Steinem è interpretato da un quartetto di attrici: Julianne Moore, Alicia Wikander e le giovani Lulu Wilson e Ryan Keira Armstrong (rispettivamente 12 e 6 anni).

 

In primavera c’era stata la serie tv Mrs. America, storia del movimento femminista, ma ribaltata stranamente sullo sguardo di Phyllis Schlafly, principale antagonista reazionaria del movimento – un progetto non solo «non autorizzato» ma che Steinem oggi sconfessa nei termini più inequivocabili («Non solo è un film orrendo, ma racconta una storia spudoratamente falsa!»).

La incontriamo, vuole il caso, il giorno dopo la scomparsa dell’icona, nonché sua amica, compagna di lotte e coetanea, la giudice della Corte suprema Ruth Bader Ginsburg. Un avvenimento che rischia, se Donald Trump riuscirà nell’intento dichiarato di blindare la composizione della Corte, di rimettere in discussione molte delle conquiste ottenute in 50 anni di lotte dalle due donne – in un momento in cui la stessa democrazia americana attraverso una fase oltremodo delicata.

 

Gloria Steinem

«Ruth era una cara amica anche perché – racconta – abbiamo la stessa età. Non sono riuscita a vederla spesso di recente ma ci conoscevamo sin dai tempi dell’Aclu (American Civil Liberties Union, ndr) L’ultima volta abbiamo preso il tè nei suoi uffici alla corte suprema. È stato un colpo tremendo, in qualche modo mi ero convinta che fosse eterna (ride) e non credo di rendermi ancora bene conto. Ora però penso anche due cose. Primo, che come ha detto lei stessa dobbiamo impedire che il presidente nomini un sostituto prima delle elezioni; secondo, che manteniamo vivo il suo ricordo nelle nostre vite, che non smettiamo di chiederci “cosa farebbe Ruth?”».

Ha definito Baden Ginsburg una super eroina. Perché?

Per me è stata miracolosa, è come se fosse stata lei stessa un movimento prima che ci fosse un movimento. Era in anticipo di almeno un decennio su tutte le altre a Harvard e alla Columbia e poi all’Aclu dove ha inventato il Women’s Rights Project. La prima cosa che mi ha fatto fare è stata un’intervista a Fannie Lou Hamer, che era stata sterilizzata a sua insaputa in un ospedale in cui si era recata per altri motivi. Era parte di un caso intentato per difendere due ragazze minacciate con la stessa procedura come condizione per ricevere assistenza pubblica… Era sempre avanti a tutti. Sempre.

Potrebbe mai esserci una nomina alla corte accettabile da parte dei repubblicani?

No (ride). E nemmeno lei lo credeva. Ha messo in chiaro prima di morire che voleva che fosse la prossima amministrazione a riempire la sua carica, non quella attuale. Così a ridosso delle elezioni sarebbe assurdo. Occorre trovare quattro senatori repubblicani disposti a darle ragione.

In caso contrario crede ci sia davvero pericolo che molte delle vostre conquiste potrebbero venire disfatte?

Un virus di nome Trump si è impossessato della Casa bianca e si tratta di un pericolo concreto. Esiste suppergiù un terzo del paese che vuole riportarci indietro alle vecchie gerarchie. Ma la verità è che la chiara maggioranza del paese, se guardi i sondaggi, concorda con i movimenti popolari per la giustizia sociale e per l’ambiente. Siamo la maggioranza e dobbiamo far fronte alla reazione della minoranza. Non ci fermeremo, È questa la mia lezione. Non ci fermeremo.

 

Portland, Monument Square saluta Ruth Ginsburg (Ap)

 

Cosa si può fare di concreto?

Possiamo votare. Non è il massimo che possiamo fare ma è il minimo. Il seggio è l’ultimo posto rimasto al mondo in cui siamo tutti uguali. E questo film è pensato proprio per spingere la gente a votare. Se saremo abbastanza avremo una nuova amministrazione.

Dopo l’elezione di Trump le donne sono scese in piazza massicciamente. È stato significativo?

Ritrovarsi assieme è sempre un grande fonte di unità. È stato meraviglioso vedere così tanta gente in piazza quest’anno. E poi bisogna anche sostenere il movimento economicamente. Non è interessante morire ricchi. Chi è che vuole morire pieno di soldi? Meglio usare quello che abbiamo oggi per cercare di produrre un cambiamento. E farlo collettivamente, assieme ad altri compagni e compagne per divertirsi e ballare e scherzare. Siamo esseri sociali, abbiamo bisogno gli uni degli altri. È questa la gioia della lotta.

Oggi sembra che gran parte dell’attività avvenga su internet…

Non si può mangiare assieme su internet o vedere un’amica. Non puoi usare cinque sensi in rete. Io dico «fanculo internet!» (ride). Va bene, è utile per comunicare e soprattutto di questi giorni è uno strumento essenziale, d’accordo. Ma solo perché abbiamo spinto «invia» non vuol dire che abbiamo fatto abbastanza. Per ottenere dei cambiamenti veri dobbiamo immergerci nella lotta con tutti e cinque i sensi, non basta schiacciare dei tasti.

 

Brooklyn, 20 settembre 2020, saluto a RBG (Ap)