Ha chiamato ieri in redazione Lidia Piersanti, annunciando che il padre ci ha lasciato. Felice Piersanti, uno dei fondatori del Manifesto, il compagno di tante lotte, non c’è più. Ora siamo senza la sua parola informata, affabulante, il suo sorriso ingegnoso. Felice dal gennaio scorso era stato colpito da un male incurabile. A 89 anni. Temevamo una fine devastante, invece la figlia ci ha raccontato di una grande serenità.

Medico, poi primario di patologia clinica in tanti ospedali pubblici, apparteneva alla generazione di uomini e donne che hanno costruito la linea di massa del Pci, in particolare sulla salute. Contribuendo alla nascita del Servizio sanitario nazionale, con grandi mobilitazioni di operatori sanitari, contro lo spreco della sanità privata, delle cliniche sovvenzionate dal denaro pubblico delle Regioni. Tra le sue battaglie, l’apertura degli ambulatori degli ospedali, nella convizione che la risposta alla malattia non sia tanto il ricovero ospedaliero ma la prevenzione. Radiato con il gruppo del Manifesto nel novembre 1969, partecipò da subito all’organizzazione del Gruppo, contribuendo alla rivista e poi, dall’aprile del 1971 al quotidiano comunista, fino al febbraio 2013.

Nell’esplodere dell’autunno caldo con nuovelotte operaie contro l’organizzazione del lavoro in fabbrica e la sua nocività, aziendale e territoriale, diede vita, insieme a Maccacaro, a Medicina Democratica. Il suo impegno contro la presunta neutralità della scienza e della medicina, lo portò già medico professionista ad essere parte del collettivo di medicina del movimento studentesco a Roma, che poi aderì al Manifesto. Pronto sempre all’intervento «di linea» e al soccorso medico, come quando lo portanno a curare alcuni braccianti dell’Agro romano che vivevano e lavoravano, a pochi chilometri dal centro della capitale d’Italia, in condizioni da Medioevo.

Grazie a lui abbiamo amato la vita delle persone. Per noi è sempre stato l’«esperto e rosso» per eccellenza. E un esempio, tranquillo e sorridente, di generosità. Ma soprattutto gli siamo grati della sua storia d’amore per Liliana, la compagna di una vita. E dell’indimenticabile allegria dei primi anni del Manifesto quando, ad un fine anno del 1971 che aveva visto la Pravda attaccare la nascita del nostro quotidiano, arrivarono vestiti da coppia della nomenclatura sovietica. Un abbraccio dal collettivo del manifesto a Liliana – che domenica saluterà amici e compagni nella storica casa di via Flaminia – e alle figlie Lidia e Serena.