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E meno male che c’è il paté di tonno della zia

E meno male che c’è il paté  di tonno della zia

MANDALA DI NATALE Che barbarità il Natale! Ogni anno mi ritrovo affannata a tirare le somme di tutto quello che non sono capace a fare. Esistono due tipologie di fine anno, quella estiva […]

Pubblicato quasi 8 anni faEdizione del 24 dicembre 2016

Che barbarità il Natale! Ogni anno mi ritrovo affannata a tirare le somme di tutto quello che non sono capace a fare. Esistono due tipologie di fine anno, quella estiva – che non è una passeggiata – e quella in corrispondenza delle festività invernali, cioè queste, che è la peggiore. La più dura. Perché oltre al confronto con te stessa, i tuoi risultati, i tuoi buoni e cattivi propositi, i soldi che vorresti avere e invece non hai per gli stramaledetti regali, ti siede, letteralmente, per giorni, di fianco a tutta la tua famiglia. La matematica non è un’opinione e quindi, se sommiamo le cose di cui sopra, il risultato non può che essere un incubo.

 
Sono figlia di una madre esteta e perfezionista che si avvale di ogni buona occasione per rendere il suo mondo, la sua casa, se stessa e chi ama quanto di più corrispondente al bello e all’armonia possibile. Reattivamente a ciò io sono una pasticciona. Credo che sia il mio personale modo di sentirmi libera. Il mio albero di Natale è Kitsch e nettamente piccolino se paragonato a quelli pomposi e meravigliosi che il resto delle case della mia Gissi Family pubblica sul nostro gruppo Whatsapp. Non vesto mio figlio come un piccolo lord e ancora non gli ho tagliato i capelli, e tanto meno penso di farlo per i festeggiamenti, resta un delizioso scugnizzo.

 
Per fortuna che ho un marito sulla mia stessa linea d’onda e che trova liberatorio, come me, dirsi «Noi ce lo facciamo dopo le feste». Ed è talmente carino da non maledirmi perché sa che, come tutte le altre volte che ce lo siamo detti, alla fine il 25 sarò triste e ritratterò che sia stata una mia idea!

 
I mercati però mi piacciono sempre. E, forse, sotto Natale un po’ di più. Questa mattina ero a Porta palazzo, il più grande mercato di Torino e di tutta Europa. È un posto incredibile, pullula di vita in ogni angolo, e anche di malavita. Contadini e pusher, signore con la spesa e tossici, tutte le nazionalità possibili e ogni materia prima sia possibile trovare sul globo. Urla, profumi, colori e la luce accecante di Piazza della Repubblica. Porta Palazzo è una delle buone ragioni per cui continuo a vivere in questa città schiacciata dalla sua pedante torinesità e dalla crisi economica.

È già qualche anno che si vede la gente rovistare nei cassonetti a fine mercato. La differenza è che in questo 2016 bisesto parrebbero di più quelli che i carciofi li prendono da terra. Una quantità immensa di persone che raccatta le rimanenze. Non solo zingari o gente da pasti alla Caritas, non ce la caveremo con il solito pietismo. Sono le nostre nonne, i nostri pensionati, i nostri ragazzi. Sono le migliaia di posti di lavoro che parrebbero essere nati sotto i funghi, che non hanno i soldi per mangiare. E a Natale, si sa, tutto è sempre peggio.

 
E meno male  che c’è la mamma. Meno male che c’è il baccalà con la polenta. E le frittole con l’uvetta, il paté di tonno della zia e i crauti con la pancetta che ancora riesce a fare la mia nonna. Il cibo è questo, soprattutto:conforto. Prima o poi ci dovrò pensare io. Ma questo Natale è oggi, e domani è un altro giorno.

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