«L’Europa è come l’Italia centrale: rischia di scomparire». Quest’estate, Paolo Rumiz la sta passando in viaggio sull’Appennino, residenza stagionale della European Spirit of Youth Orchestra, ensemble sinfonico che raccoglie giovani musicisti di undici Paesi europei. La voce dello scrittore si adagia sulle musiche di Bach, Sibelius, Rossini, Rachmaninov e recita passi dai libri «Trans Europa Express» e «Come cavalli che dormono in piedi», per una serie di concerti nei paesi del cratere del terremoto.

«Qualche giorno fa siamo stati a Norcia – racconta Rumiz – purtroppo mi sono accorto che gli abitanti hanno ancora paura di rientrare tra le mura del paese, ma nessuno ha intenzione di mollare: qui c’è da ricostruire, da lottare giorno dopo giorno contro l’abbandono. Il patrono del nostro continente, San Benedetto, viene da queste montagne e non è un caso. Fu lui, con la sua rete di monasteri, a mettere in piedi l’Europa. E lo fece in un momento di confusione e di invasioni. Come oggi…».

L’orchestra giovanile europea è nata vent’anni fa, e dal 2015 ha imbarcato anche Rumiz come voce narrante. I musicisti cambiano anno dopo anno, e ogni estate si ricrea il miracolo di mettere in piedi la banda, andando a pescare ragazzi dal Baltico ai Balcani. In settanta sono arrivati in Italia da Albania, Croazia, Ungheria, Polonia, Estonia, Italia, Slovenia, Serbia, Romania e Ucraina, tutti guidati dal maestro d’origine slovena Igor Coretti Kuret.

«Questa esperienza rinasce ogni anno – dice ancora lo scrittore – come l’araba fenice, come dovrebbe essere l’Europa. Il maestro trae le conseguenze della diversità di ogni elemento dell’orchestra. È la musica che crea la direzione, non il contrario». La metafora si fa esplicita: «Questa è la risposta al centralismo burocratico che domina l’Europa, ma anche ai nazionalismi che rinascono. A mancare spesso è l’ascolto, un concetto in tutto e per tutto cristiano, che San Benedetto ha sempre portato avanti e che dovrebbe essere il cuore di tutto quello che facciamo».

Per Rumiz questa permanenza sugli Appennini è quasi una necessità. «Il mio – spiega – è l’istinto partigiano di ritirarsi in montagna, nei luoghi dimenticati dagli spot e dal teatrino della politica. Sono stufo di tante celebrazioni e cerimonie, i luoghi bisogna viverli. Noi siamo qui e giriamo per i paesi, andiamo a suonare nelle osterie, stiamo con le persone. E lo facciamo per raccontare cos’è l’Europa». Non una cosa facile, né scontata.

«C’è bisogno di un linguaggio nuovo, di una narrazione diversa – conclude Rumiz -. Quando la raccontiamo come merita, l’idea di Europa fa commuovere. Mi fa male vedere come l’Italia sta trattando queste zone, mi fa male vedere come si continui a parlare di cose che non esistono come l’invasione dei migranti mentre tutti i problemi sono già tra noi. Le persone non sanno più credere, e sono molto arrabbiato con quella parte di sinistra che non è più in grado di usare parole importanti come pace e solidarietà. Il mio, qui, è un viaggio politico».