Attore e drammaturgo lucano, Ulderico Pesce è una figura del teatro civile e d’inchiesta italiano. Nei suoi spettacoli mette insieme fatti, dati e crimini che feriscono la Basilicata e l’Italia. Scorie nucleari, rifiuti, amianto, civiltà contadina, petrolio, Pesce racconta la sua terra a partire dalle sofferenze che la corrugano. Ha lavorato con Carmelo Bene, Giorgio Albertazzi e Anatoly Vasiliev, direttore del teatro Scuola d’arti drammatiche a Mosca. In Italia è autore, tra gli altri, di Assi di monnezza: i traffici illeciti di rifiuti, Moro: i 55 giorni che cambiarono l’Italia e Petrolio. Con Matera 2019 porta in scena La bella vergogna, la mortificazione della fuga delle popolazioni di rito bizantino che si stanziano in Basilicata nel ‘500, in fuga dai Saraceni. Suo nonno era un arrotino itinerante nel Sud Italia del secondo dopoguerra. A lui deve la passione per il racconto e le storie vere.

Cos’è Matera 2019?

Un punto di partenza per una regione martoriata. Un’occasione unica per canalizzare le energie e stimolare il territorio. Ma…

La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni…

Mi aspettavo un programma culturale che venisse dal basso verso l’alto. Ma è accaduto il contrario. L’operazione doveva essere concertata con le popolazioni residenti, non solo a Matera, ma in tutti i paesi della Basilicata. È un ricorso storico: lo racconto nello spettacolo Case senza luce. Nel 1949 Carlo Levi e Adriano Olivetti misero a punto un progetto di recupero urbanistico e sociale dei Sassi e dei loro abitanti. Sei villaggi rurali dovevano nascere a forma di stella. Tra la punta e il cuore, i contadini avrebbero coltivato i prodotti da vendere nelle loro cooperative agricole, all’interno dei Sassi. Si sarebbero riappropriati dei luoghi, sarebbero diventati autonomi. Dalla produzione alla vendita. Sarebbe stata una rivoluzione. Il progetto fu ignorato.

E oggi?

Il programma culturale tende a importare cultura dall’esterno, senza stimolare abbastanza il tessuto culturale locale. Ho l’impressione che i cittadini materani siano stati poco coinvolti, quando invece si doveva tendere verso un continuo processo di autonomizzazione del territorio. Il programma sa di ordinario, di eventificio. Sono costretto a parlare all’imperfetto: la manifestazione doveva essere l’occasione per riflettere sull’identità contadina, di rispecchiare il tessuto sociale e culturale lucano, di federare progetti locali. Ma si è preferita la logica del festival, della Basilicata come un bel contenitore da riempire. Mi auguro di sbagliare, spero che sia un successo. Ma una volta finiti il denaro e gli eventi, una volta spente le luci, cosa resterà di Matera 2019?
Soltanto le parole, come le pietre. E i Sassi.

Il Cristo è una bussola. Levi ha colto la natura del Sud, di questo laboratorio sociale che è la Basilicata. Un intreccio di mondo arcaico e bisogno di autonomia. I dirigenti del Comune e della Regione non hanno colto. Matera non ha né binari, né una stazione culturale.
Il futuro ha un cuore antico?

Non più. La città è sfigurata. Questo processo di spersonalizzazione del cuore arcaico della città è ancora in atto, più forte che mai. Nei Sassi ho visto pizzerie, kebab, Bed&Breakfast, niente a che fare con la civiltà contadina di cui sono il simbolo. Matera sta diventando un contenitore, un bel quadretto. I turisti visitano i Sassi, si fanno un selfie e poi vanno in Puglia.