La prima notte di coprifuoco è trascorsa senza incidenti gravi. A una settimana dall’inizio della nuova ondata di manifestazioni che ha investito la Tunisia, con migliaia di persone scese in piazza per denunciare le perduranti condizioni di ingiustizia sociale e la sconsolante situazione occupazionale che colpisce soprattutto i giovani, la misura era stata presa dal governo, venerdì, nel tentativo di arginare le violenze e gli episodi di vandalismo in cui sono degenerate alcune delle manifestazioni degli ultimi giorni. Il ministero dell’Interno fa sapere che sono state arrestate 423 persone per i disordini di piazza (261 nella sola giornata di venerdì) e 84 per aver violato il coprifuoco, in vigore dalle 20 della sera alle 5 del mattino.

Coprifuoco che pare abbia retto anche a Kasserine, la città dell’interno dove la contestazione si è impennata lo scorso 16 gennaio in seguito alla morte di Ridha Yahyaoui, il disoccupato 28enne rimasto fulminato su un palo della luce che aveva scalato invocando dignità e lavoro, propagandosi fino a Tunisi e nel resto del paese. Ieri la città ha vissuto un giorno di calma relativa, anche per la presenza massiccia delle forze di sicurezza nelle strade. Gruppi di cittadini si sono organizzati per ripulire dalle strade i segni degli scontri avvenuti nei giorni scorsi. Incidenti minori hanno invece avuto luogo tra studenti e polizia a Sidi-Bouzid (non distante da Kasserine, epicentro della rivoluzione che ha dato la stura nel 2010 alle cosiddette primavere arabe).

Il premier Habib Essid, rientrato precipitosamente dal vertice di Davos, ieri ha presieduto un consiglio dei ministri convocato d’urgenza. Poco prima aveva fatto il punto sulla sicurezza con i ministri dell’Interno e della Difesa. E rivolgendosi ai tunisini aveva chiesto «comprensione» per le difficoltà incontrate dal nuovo governo, insediatosi lo scorso 6 gennaio, nel mettere in campo misure convincenti contro la crisi. «Le soluzioni esistono – ha detto tra l’altro – ma bisogna avere un po’ di pazienza e di ottimismo».

Essid ha rimandato a dopo il vertice governativo (ancora in corso mentre scriviamo, ndr) l’annuncio di eventuali misure di contrasto alla crisi economica, ai dati da incubo sulla disoccupazione e contro la corruzione, ovvero l’agenda indicata con chiarezza nelle strade dal rinnovato malcontento sociale che sta infiammando il paese. Il premier ha alluso poi ai «nemici che non vogliono il successo della Tunisia (…) e che farebbero di tutto per disturbare l’armonia della nostra democrazia e lo storico periodo di transizione che il paese sta attarversando». Non una parola sulle cifre sparacchiate il giorno precedente dal portavoce del governo Khaled Chauket, che annunciava 5 mila nuovi posti di lavoro per l’area di Kasserine, quando il dato – poco più che un auspicio – si riferiva in realtà all’intero territorio nazionale.

Nella serata di venerdì il presidente della repubblica Béji Caïd Essebsi era apparso alla televisione tunisina con il chiaro intento di calmare gli animi e mettere in guardia contro il rischio che «mani male intenzionate» si impossessino della piazza, dopo una settimana di rivolta che sembrava offrire il fianco anche a tentativi di infiltrazione da parte di forze – come gli islamisti «moderati» del partito Ennahda – che hanno tutto l’interesse a radicalizzare lo scontro in atto.

Le proteste sono «naturali», si è spinto ad ammettere Essebsi, invitando il governo ad agire in fretta per dare delle risposte al paese. Sempre in una chiave “defibrillante” il presidente Essebsi ha voluto ricevere ieri le famiglie delle due vittime registrate nell’ambito delle proteste di questi giorni. Oltre ai genitori di Ridha Yahyaoui, al palazzo presidenziale di Cartagine si è recata dunque anche la famiglia di Sofiène Bouslimi, il poliziotto rimasto ucciso negli scontri a Fériana, nel governatorato di Kasserine.

In attesa delle decisioni del governo, la disillusione resta alta. E il movimento della protesta resta mobilitato.