La speranza, per l’antico adagio, è sempre l’ultima a morire, ma la speranza che le elezioni in Libia fissate per il 24 dicembre potessero essere un vero passo avanti nel processo democratico si sta purtroppo riducendo sempre di più.
A otto giorni dalla data del voto i preparativi sono quasi nulli, salvo la stampa delle schede elettorali e poco altro; le tensioni con i miliziani armati che hanno circondato gli uffici del Primo Ministro libico perché contestano la sostituzione del comandante del distretto militare di Tripoli sono la dimostrazione evidente del caos che domina quel Paese.

Ora è da gestire il possibile posticipo della data delle elezioni ed è cosa non da poco. Il 24 dicembre era ed è una data simbolo in quanto è quel giorno che avvenne l’indipendenza dello Stato. Sarà ben difficile trovare l’accordo di tutte le fazioni per trovare un’analoga data cosi significativa.
Ed è un peccato perché le premesse sembravano invece incoraggianti dopo oltre dieci anni di guerra civile e atrocità. Prima il cessate il fuoco raggiunto nell’ottobre dello scorso anno, poi la formazione di un governo di unità nazionale ponevano le basi per un percorso che avrebbe potuto, e dovuto, portare la Libia in una situazione di ‘normalità politica e istituzionale, condizione fondamentale per avviare il processo di riconciliazione e ricostruzione del Paese. Ancora prima delle ultime tensioni era chiaro come il processo elettorale non fosse per nulla trasparente, ma minato dal riemergere dalle divisioni delle fazioni territoriali che hanno contraddistinto la politica libica negli ultimi anni.

Alcuni candidati non sono stati ammessi, altri hanno annunciato boicottaggi e la stessa legge elettorale non è ancora definita chiaramente.
A ciò si aggiunge il fatto che la data per il secondo turno delle presidenziali e per le elezioni parlamentari è stata fissata a quasi due mesi dal primo turno, rischiando quindi di creare una situazione di grave tensione nel periodo tra le due votazioni. Per evitare questo ‘ingorgo’ l’Italia aveva chiesto, giustamente, che elezioni presidenziali e parlamentari si svolgessero contemporaneamente, una scelta ragionevole che avrebbe avuto senza dubbio effetti positivi.
Il timore che alla fine le elezioni in Libia si riducano ad una contesa tra la vecchia classe politica, per nulla gradita al popolo, che combatte per il potere con intimidazioni e brogli, si è fatto sempre più concreto ed esteso. A questo si aggiunge il fatto che nessuna delle premesse indispensabili per realizzare il processo democratico si è verificata.

Non vi è stato il ritiro delle forze straniere e dei gruppi militari privati, Turchia e Russia continuano a interferire nelle vicende interne libiche senza che gli altri attori internazionali; la diplomazia dell’Unione Europea e dell’Onu appare sempre più debole; le Nazioni Unite non sono ancora riuscite a sostituire l’inviato speciale Jan Kubis dopo le sue inaspettate, e ancora incomprensibili, dimissioni. Un fatto alquanto grave e un segnale inquietante.
In questi anni, purtroppo, l’Unione Europea non è mai riuscita ad avere una posizione comune e non ha mai veramente inciso nelle vicende libiche, anche perché molti Stati che aderiscono all’Ue non sono per nulla interessati, direttamente o indirettamente, alla questione libica. Per trasformare i fallimenti in opportunità l’Unione europea, e soprattutto i singoli Paesi interessati, debbono impegnarsi, ancora di più e più concretamente, perché le future elezioni, quando si terranno, si svolgano nel modo più regolare e trasparente possibile.

Il futuro della Libia è sempre più appeso a un filo, la questione si è ulteriormente complicata, ma non tutto è perduto.
C’è ancora spazio per una svolta credibile che sarà possibile se i Paesi europei del Mediterraneo si unissero con un’unica voce con proposte concrete di aiuto per elezioni realmente democratiche, per missioni di controllo e di mediazione, per contributi economici, e non solo, in Libia. Il nostro Paese dovrebbe essere il promotore di questa iniziativa favorita anche dal clima positivo che si è generato con il ‘Trattato del Quirinale’ con la Francia che da gennaio guiderà il Consiglio della Ue e dall’insediamento del nuovo governo tedesco a guida socialista. I presupposti ci sono, per questo sarebbe un vero e proprio disastro e una perdita di credibilità se si perdesse questa occasione.

Pace e democrazia in Libia si potranno ottenere solo attraverso questo percorso che comunque non potrà prescindere anche da una operazione di verità e giustizia sul passato, altrimenti le tante ferite del passato peseranno per sempre sul futuro di quel Paese.

* Europarlamentare-Relatore Permanente per la Libia del Parlamento europeo