Da domenica all’alba sono tornati a parlare i cannoni nella tormentata enclave del Nagorno-Karabakh. Le prime notizie che arrivano dal fronte parlano di feroci combattimenti con l’uso di artiglieria, carri armati e aerei. La minaccia di una guerra su vasta scala in Transcaucasia diventa reale. I primi bollettini parlano di una vera ecatombe: secondo lo stato maggiore azero sarebbero stati uccisi nelle prime 36 ore di conflitto ben 550 soldati armeni, 200 invece le perdite inflitte a Baku secondo Erevan. L’Armenia ha introdotto la legge marziale e ha annunciato la mobilitazione generale e per alcune regioni lo stato d’emergenza è stato dichiarato anche in Azerbaigian.

LE DUE PARTI, come da copione, si sono accusate a vicenda di aver violato la tregua. Per il governo di Baku, il conflitto è stato provocato dalle forze armate armene che si erano ammassate sul confine azero già da martedì e bombardato le posizioni azere e gli insediamenti nella zona del fronte costringendole al contrattacco. Erevan invece attribuisce la responsabilità del riaccendersi del conflitto a Baku, affermando di avere le prove che l’attacco era stato preparato da tempo e vi sarebbe coinvolta direttamente Ankara. Lo stato maggiore armeno afferma che nella notte di venerdì erano stati spostati dalla Siria in Azerbaigian almeno 4000 soldati turchi per preparare l’offensiva. Fonti giornalistiche russe, che citano a loro volta fonti del Fsb, confermano la notizia, ma riducono il numero a 1500.

lL COLONNELLO azero Vagif Dargahli, rovescia l’accusa sugli avversari affermando che foreign fighters provenienti un po’ da tutto il Medio Oriente stanno combattendo nelle fila armene. «Dal momento che non sono ufficialmente registrati possono nascondere facilmente queste perdite», ha accusato Dargahli. Ma a pagare il prezzo più pesante sono come sempre i civili: ieri nel pomeriggio donne e bambini di Stepanakert e altre città della regione sono stati caricati su dei bus ed evacuati in Russia.

Soldati dell’esercito azero sul confine con l’autoproclamata Repubblica del Nagorno-Karabakh (Ap)

NIKOL PASHANYAN, il premier armeno, rivolgendosi in tv alla nazione ha parlato di «iniziativa dell’espansionismo turco» e si è appellato direttamente alla comunità internazionale. La particolare drammatizzazione del conflitto da parte armena si basa sulla necessità – visto che le forze militari in campo sono nettamente favorevoli all’Azerbaigian – di mobilitare l’opinione pubblica internazionale e la diaspora contro le «mire imperialistiche ottomane». Ma la partita più delicata in queste ore si gioca sul piano diplomatico vista l’affiliazione dei contendenti a due colossi regionali come Turchia e Russia. Subito dopo l’inizio dei combattimenti il ministero della difesa di Ankara ha pubblicato un comunicato in cui, dopo aver ricordato «l’unità indissolubile dei nostri popoli basata sul principio di due Stati un popolo», si garantiva il pieno appoggio «alla causa azera».

CHE POSSA trattarsi non solo di una scaramuccia per poi risedersi al tavolo delle trattative lo ha fatto intendere qualche ora dopo Recep Erdogan quando ha dichiarato che «con tutta la determinazione» sosterrà Baku. «È giunto il momento di porre fine alla crisi iniziata con l’occupazione armena del Nagorno-Karabakh. L’immediata liberazione delle terre occupate da parte dell’Armenia aprirà la strada alla pace e alla stabilità nella regione», ha dichiarato il presidente turco. Tesi un po’ ardita perché nella zona ora la stragrande maggioranza della popolazione è di etnia armena e il rischio che si possa assistere nuovamente a pogrom e pulizie etniche come già nel conflitto del 1992-1994, incombe come non mai.

ERDOGAN ha inoltre sostenuto che l’epoca delle trattative sia ormai finita «visto che il gruppo Osce formato da Russia, Usa e Francia non sono stati in grado di risolvere il problema in quasi 30 anni. Molto più cauta e quasi impalpabile la posizione del Cremlino. Sergey Lavrov, ministro degli esteri russo, domenica mattina aveva sondato subito il suo omologo turco Mevlüt Çavusoglu per capire che aria tirasse sul Bosforo. Le risposte non sembrano siano state incoraggianti e Mosca sta cercando di fare pressione su Erdogan persino attraverso Nato – di cui Ankara resta membro strategico – che non tutto vuole meno essere coinvolta adesso nel pantano transcaucasico e sull’Iran, i quali si sono spesi però solo per ora, per gli appelli di rito.

PUTIN HA doveri di solidarietà militare con l’alleato armeno ma la sensazione è che intenda evitare ogni confronto diretto o indiretto con la Turchia. Con la Bielorussa in bilico e una situazione economica interna non brillante, il presidente russo ha bisogno di fare melina e di non rompere, almeno per il momento, le relazioni economiche (quelle politiche sono da tempo al lumicino) con Erdogan.