Quando l’Amazonas Star parte, allontanandosi dalla banchina del Terminal Hidroviário, mi lascio alle spalle i grattacieli luccicanti di Belem, città nera di povertà e violenza, con le sue periferie oscure e vie degradate dove lugubri avvoltoi saltellano e beccano tra l’immondizia abbandonata sulle strade. A Belem non c’è taxista che non alimenti un racconto di morte, ricordandoti a ogni tratta tutti quelli ammazzati e i pistoleri pronti ad assalirti per derubarti, indicandoti, con allarmata enfasi, i luoghi dove si sono consumati gli spaventosi delitti. Sul ponte centrale sono già state piazzate le amache, che pendono di tutti i colori e di tutte le forme, con dentro corpi di donne anziane, giovani uomini e bambini, le voci si rincorrono, così come percepisco gli odori di cibi e corpi.
Mentre la Amazonas scivola sull’acqua, conquistando spazio, vago come un’anima in pena salendo e scendendo i piani, arrivo al bar semideserto, guardo il profilo di alberi nel fitto e davanti folti cespugli un paesaggio che incanta, mi perdo nei sotterranei, tra il frastuono dei motori. È come se da lì spiassi segretamente la vita che accade miracolosamente e dura i pochi secondi di uno sguardo, la vita di famiglie di pescatori che vivono in questi villaggi sull’acqua, costruzioni come palafitte, minuscoli attracchi in quello che chiamano «fiume mondo». Piccoli paradisi galleggianti da dove bambini impavidi si tuffano rinnovando qualcosa di antico, e di sacro, nel loro mondo magico e incantato, giocando allegramente e nuotando in assoluta libertà. Uno scenario che si apre e si chiude di continuo mentre guardo appoggiato al parapetto. Dopo, il profilo torna impenetrabile e distante.
Una signora molto anziana, i capelli ingrigiti e il fare mansueto, sta andando ad Almeirim, va a trovare suo figlio, che si è trasferito lì per lavoro. Un ragazzo gioviale dai capelli corti e lo sguardo mite, seduto a gambe incrociate, è un terapeuta, sta andando a Itaituba dove terrà una lezione di medicina naturale. «Parlerò dei tre piedistalli della salute», dice sorridente, «trattare il malato e non la malattia, attivare le energie vitali, usare i rimedi naturali». Così continuo a vagare e a chiedere, se per caso vedo un viso interessante, una donna o un uomo che m’incuriosiscono. Geraldo, quello che ho soprannominato «il generale», un signore panciuto che si chiama così per via delle sue origini tedesche, la faccia larga e paffuta, invece va a Alter do Chào, quella che chiamano «la foresta incantata», un luogo che si può visitare solo nella stagione delle piogge, quando la selva si allaga.

A BREVES, che fa parte dell’isola Marajò, la più grande isola deltizia del mondo, facciamo il primo scalo. Sulla banchina i frenetici venditori di spezie urlano sul pontile, offrendo frutta e cibi freschi, tirano su i fagotti con lunghe pertiche che gli acquirenti prendono al volo.

Al risveglio, uscito dalla mia cabina, quella che chiamano Suite, un vano angusto con letto e un piccolo bagno rabbuiato, il vento fresco mi accarezza il viso. La nave avanza sul grande Rio, tagliando le correnti, ma sembra immobile, sulle sponde il profilo verde scuro della foresta che ieri notte era più minaccioso e spettrale avvolto nell’oscurità, adesso è una cornice invalicabile che delimita lo specchio d’acqua. Navigando, è come se la selva fosse sempre inespugnabile, una frontiera chiusa ermetica oltre la quale è proibito vedere. Di tanto in tanto piccoli isolotti verdi mi sorprendono, sento echi di grida di cormorani che volteggiano nell’aria. All’improvviso, dai greti abbandonati, arrivano minuscole barche a remi velocissime con a bordo madri e piccoli figli, oppure bambini che cercano disperatamente di avvicinarsi alla nave per ottenere da qualche viaggiatore cibo o indumenti, volano verso lo specchio d’acqua marrone fagotti che questi recuperano con gran velocità e sveltezza. Alcuni legano con una corda la propria imbarcazione al traghetto, e dopo navigano trascinati a motore spento, offrono cesti con dentro gamberi freschi, che infilano dentro sacchetti di cellophane. Mentre la nave continua a scivolare sul corso d’acqua sempre più stretto e intorno hai questo teatro naturale vivente, vivo come un incantamento. Allora la foresta sembra appena un po’ più espugnabile quando intravedi le case di legno chiaro color pastello sulle rive, ma è solo una momentanea illusione.

DOPO DIVERSI CAMMINAMENTI, incontro Maria, una ragazza molto sorridente dai capelli scuri e ricci. Mi confessa che sta andando a Santarem per fare un test d’ingresso alla Facoltà di Pedagogia dell’Università, è molto emozionata. Viene da molto lontano, è arrivata a Belem con un volo aereo. Sze invece è un vago. Cappellino blu, barba folta bianca, il naso grosso e foruncoloso, la pelle rovinata, una camicia bianca logora, si sposta reggendosi su due stampelle d’acciaio. Mi dice sorridente che lui nella vita «va», abita a Santarem a casa di un amico, ma non ha fissa dimora. Ha viaggiato molto anche in Argentina, Cile, Paraguay. Dice solo, evasivo, «partivo». Superato il piano dove sono appese le amache c’è la cambusa, il piccolo ristorante. Lì con pochi real puoi mangiare la «marmitta», un piatto di pollo o pesce, servita da Erika e Marcela.

IL RIO È MAESTOSO, e la sera, al tramonto, la selva lentamente, senza luce, torna oscura, e il secondo giorno di navigazione è diventato immenso, la nave viaggia a ridosso della sponda sinistra, mentre dalla parte opposta, in lontananza si scorge un paesaggio di montagne alte e cespugliose. Stanotte, durante una sosta, c’erano ragazzi che vendevano formaggio.
Arrivati Santarem l’Amazon Star si svuota. Al risveglio, aperta la porta della «Suite», camminando lungo i corridoi, entrando nel ponte centrale, molti di quelli con i quali ho condiviso queste prime tre giornate di viaggio sono già scesi. Non c’è più il Generale, non c’è il vago con la barba bianchissima e le stampelle d’acciaio, sono spariti anche l’infermiera amburghese e la ragazza che andava a fare il test d’ingresso all’università. Invece l’uomo basso dai capelli corti con la corporatura di un’ala destra del Santos, che gira con al seguito un registratore ascoltando canzoni, e le ripete a voce alta, il quale non ha mai dato confidenza a nessuno, è seduto vicino alla balaustra. Se prima mi sembrava tutto famigliare, adesso quando cammino per la nave quelli che incontro sono volti nuovi e sconosciuti. Il cielo invece è grigio sporco, grandi nuvole sulla sponda sinistra, sopra una lama di spiaggia lunghissima, e la nave per ore viaggia a velocità di crociera, così mentre guardo in lontananza questo confine che non muta mai per ore e ore, spaesato in questo tempo sospeso, posso leggere dentro la mia cabina Ancora un giorno di Kapuscinsky, un reportage di guerra scritto come un romanzo d’avventura. In copertina Carlotta, la guerrigliera angolana alla quale il grande reporter dedica uno struggente ritratto, ha i capelli ricci e folti come quelli di una ragazzina che ho incontrato sulla nave. Quando gli ho detto dove vivo, mi ha confessato che vuole fare la modella, venire a stare in Italia a Milano, quello è il suo sogno segreto.

GILBERTO, INVECE, È UN ANZIANO del Venezuela, di mestiere faceva l’interprete, la testa calva e un paio di baffi grigi, s’aggira per la nave circospetto. È diabetico, ha avuto una linfangite e nel suo paese non potevano curarlo perché non avevano gli antibiotici, «possiamo solo tagliarti la gamba per non farti morire», gli avevano detto i dottori. Così è andato in Brasile, a Boa Vista, dove si è curato all’ospedale militare, e da maggio sta viaggiando, ha lavorato come cameriere in un ristorante ad Alter do Chào per procurarsi i soldi per mantenersi, adesso sta tornando a casa.

L’ultimo giorno di viaggio piove, l’aria si è fatta più fresca, sembra sparito il caldo tropicale e umido di questi giorni che assediava la pelle, sembra già un’altra stagione, è incredibile come i colori autunnali, i cieli grigi e la luce smorta abbiano già preso il sopravvento. Il paesaggio è diventato monotono, costeggiamo argini argillosi dove pascolano le mandrie, mentre la nave avanza con lentezza, cullandoti. Vicino a Manaus il sole è già tornato, e mentre la Amazonas punta verso il porto, vediamo le acque del Rio Negro e del Rio Solimoes che corrono fianco a fianco senza mescolarsi, è un miracolo che avviene per la differenza di temperatura, densità e velocità delle acque: infatti il primo scorre a circa 2 km all’ora a una temperatura di 28 °C mentre il secondo a 4-6 km all’ora a 22 °C.

A MANAUS SALUTO WILLIAM, il suonatore ambulante argentino di «trombetta», che sta girando tutta l’America latina esibendosi per strada. Scende anche Ritielvy, partito da Belem con la moglie bambina e sua figlia di due anni. Scappano da una vita difficile e dal quartiere «rosso» di Kabunajem, molto povero e pericoloso. «Ci sono molti assalti, molti morti per via della droga», dice, «regolamenti di conti tra i trafficanti, lì è una cosa normale uscire da casa e vedere i cadaveri per strada».