Povero Angelino: certe volte fa quasi tenerezza. Sembra Pinocchio, circuito e raggirato dal gatto e dalla volpe. Aveva trovato per strada il biglietto vincente della lotteria, volle caso che risultasse simpatico a Silvio Berlusconi. L’ha buttato nella spazzatura perché tanto gli consigliavano di fare Giorgio Napolitano ed Eugenio Scalfari…

Ma la politica, si sa, è spietata. Ripaga gli errori con un conto salato, e in tempi brevi. Per il Pinocchietto del Viminale il momento è quasi arrivato. E’ sua la testa da sacrificare, sull’altare dell’alleanza tra Matteo Renzi e la Volpe del Colle. Se il governo-relitto di Letta deve sopravvivere oltre la primavera, il prezzo fissato dal fiorentino è che smetta di vegetare e si connoti chiaramente come governo del Pd. La richiesta di intervenire subito sulle Unioni civili e sulla Bossi-Fini serve a questo. Una volta proclamato l’obiettivo, il sindaco-segretario non può più arretrare: pena una perdita di credibilità che, per un segretario fresco di plebiscito in nome del decisionismo innovatore, rasenterebbe il suicidio.

La sola via d’uscita onorevole, per sant’Angelino Martire, è scommettere sul voto dell’aula, sperando che a salvarlo arrivino proprio quegli ex compagni di partito che, anche se si mordono la lingua per non dirlo in pubblico, lo considrano un po’ peggio dell’Iscariota. Speranza vana. Forza Italia, alla fine, voterà a favore dell Unioni civili, come anticipava ieri la vicecapogruppo al Senato Annamaria Bernini, forte di una proposta di legge, per la verità ottima, già inoltrata a palazzo Madama proprio dal forzista Galan.

E’ solo l’antipasto. La pietanza arriverà con la legge elettorale, e sarà ancora più indigesta. Da due giorni i ragazzi dell’Ncd si sgolano ripetendo che la legge dei sindaci è l’unica accettabile, e che ogni altro percorso provocherebbe una loro reazione tombale per l’esecutivo. Non la spunteranno. Prima di tutto perché è a dir poco balzano proporre la «legge dei sindaci» senza l’elezione diretta del sindaco. Un po’ come un presidenzialismo senza presidente, o una monarchia senza re. In secondo luogo perché quel modello torna comodo solo ad Angelino Alfano medesimo, mentre per tutti gli altri, in particolar per Renzi, sarebbe un cappio al collo. Il decisionista del Pd si troverebbe costretto a trattare con il centro 24 ore su 24 ore: al confronto la palude sembrerebbe un limpido torrente. In più, nel suo partito, se ne avvantaggerebbero, e non di poco, proprio quelli che all’ «usurpatore» fiorentino l’hanno giurata. Tutto è possibile, però immaginare un Renzi tanto magnanimo da immolarsi per la gloria di Alfano pare un tantinello forte.

E’ possibile che il l’ex delfino del cavaliere debba ancora rendersene conto, ma di qui a poche settimane gli toccherà prendere atto della sgradevole realtà: di spazio autonomo non ne ha, e nemmeno di peso contrattuale. Quel che poteva dare lo ha già dato. Può essere sacrificato senza ambasce. Dovrà quindi prendere una decisione sofferta: tirare orgogliosamente avanti e finire nella galleria dei cadaveri politici che nel centrodestra hanno tentatodi scalzare re Silvio, oppure cogliere l’occasione offerta da Renzi, farsi due risate sulla barzelletta della «responsabilità verso il Paese» e far cadere il governo. In cambio, il perdono di Arcore non mancherà. E anche un posticino nelle nuove gerarchie.