È iniziato ieri a Veracruz, in Messico, il 24° Vertice iberoamericano: per discutere di educazione, cultura e innovazione. Si tratta di un incontro segnato dalla crisi profonda che attraversa il paese a seguito del massacro di Iguala e della scomparsa di 43 studenti. A più di 70 giorni dalla repressione congiunta di narcotrafficanti e polizia, che ha provocato 6 morti e una cinquantina di feriti, gli scomparsi ora risultano 42.

Nella giornata di domenica i resti del giovane Alexander Mora, iscritto alla Escuela Normal de Ayotzinapa, sono stati identificati dagli esperti dell’università di Innsbruck, in Austria. Un laboratorio particolarmente attrezzato per le analisi difficili, dove le autorità messicane hanno inviato i frammenti di ossa calcificati, rinvenuti nella discarica di Cucula, vicino a Iguala. La squadra di antropologi forensi argentini, nominata dalle famiglie dei ragazzi, ha dichiarato che la borsa contenente i resti del giovane Alexander Mora era già aperta quando sono arrivati gli esperti e di non poter garantire sull’autenticità dei risultati. Il padre di Mora, un contadino, ha accusato «il governo corrotto e delinquente che impedisce di manifestare, che uccide e tortura», però ha preso atto dell’assassinio del figlio ventenne e ha indetto una veglia in casa, davanti alla foto del giovane.

Nello stato del Guerrero, il governatore Rogelio Ortega – che qualche giorno fa i manifestanti hanno costretto a sfilare in una marcia di protesta contro l’impunità – ha decretato tre giorni di lutto e, durante una conferenza stampa, ha osservato un minuto di silenzio «per gli eroi e i martiri di Ayotzinapa». Ortega governa a interim dopo la fuga del suo potente predecessore, Angel Aguirre Rivero, coinvolto nel massacro di Iguala. Secondo le confessioni di alcuni pentiti, arrestati dopo i fatti del 26 settembre, la polizia avrebbe consegnato i 43 ragazzi ai narcotrafficanti dei Guerreros Unidos perché fossero uccisi e attentamente occultati, stavolta bruciati nella discarica di Cucula, dove sono stati trovati resti calcificati.

A ordinare la feroce repressione sarebbe stato l’ex sindaco Luis Abarca per impedire una contestazione al comizio della moglie, Maria Pineda Villa, sorella di narcos. E Rivero sarebbe stato al corrente. Sembra così confermata la versione iniziale fornita alla stampa dal procuratore generale Jesus Murillo Karam, che l’ha ripetuta domenica, confermando la detenzione di 70 persone, tra cui 44 poliziotti municipali e assicurando che l’inchiesta andrà avanti «ad ogni costo e senza guardare in faccia nessuno». Nonostante le riforme liberticide varate dal presidente messicano Enrique Peña Nieto per impedire le manifestazioni, le mobilitazioni contro «il crimine di stato» non si fermano in tutto il Paese. Dopo la notizia, per le strade del Messico si sono nuovamente riempite di manifestanti ed è nuovamente risuonato il grido: «Ne mancano 42», e «Fuori Peña Nieto».

Il presidente, domenica ha partecipato all’atto di chiusura del Decimo Incontro iberoamericano degli imprenditori, in presenza del re di Spagna, Filippo VI, di alte cariche politiche e rappresentanti delle imprese e delle università. Ha iniziato con l’inviare messaggio di «solidarietà» alla famiglia di Alexander Mora. A Veracruz, dove sono invitati i capi di stato di 22 paesi (19 latinoamericani, più Spagna, Portogallo e Andorra), molte le defezioni, a partire dalla presidente brasiliana Dilma Rousseff e dalla sua omologa argentina Cristina Kirchner.

Un preciso segnale di esaurimento del vertice, nato nel 1991 in Messico ma incapace di competere con altri organismi continentali come Celac o Unasur e per questo dilazionato a un incontro ufficiale ogni due anni a partire da ora. Il neoliberista Nieto ha ricevuto l’appoggio del suo omologo spagnolo Mariano Rajoy e l’assicurazione che la Guardia Civil spagnola assisterà il progetto della nuova Gendarmeria. Al vertice ha partecipato anche il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Nel 2007, durante il Vertice iberoamericano in Cile, il suo predecessore, Hugo Chavez, venne apostrofato dal re Juan Carlos I di Spagna con la frase «Perché non stai zitto?», perché aveva più volte chiamato fascista l’allora primo ministro spagnolo José Aznar.