«Qui abbiamo progettato il Movimento 5 Stelle e i loghi delle liste civiche». Per un fine settimana estivo almeno, Davide Casaleggio organizza un tour virtuale nelle stanze della sua creatura digitale e prova a rimettere Rousseau al centro del villaggio del Movimento 5 Stelle, nonostante ormai da tempo la piattaforma telematica venga guardata dalla grande maggioranza degli eletti con indifferenza quando non con aperto fastidio.

Non c’è Beppe Grillo, alle «Olimpiadi delle idee» milanesi di Casaleggio, ma si presentano gli altri big. Così, al Villaggio Rousseau arriva il reggente Vito Crimi, che assicura i suoi interlocutori sulla rifondazione del grillismo: «Gli Stati generali del M5S si terranno entro il 2020». Ma persino Crimi ormai relega Rousseau a mero «strumento», un mezzo di supporto che ormai viene dopo i ruoli stabiliti dall’organigramma pentastellato. Come a dire: il potere vero ce l’ha il «capo politico».

E non è un caso che nei giorni scorsi i parlamentari si siano lamentati per il poco spazio che sarebbe stato loro riservato nei diversi tavoli di lavoro. Casaleggio cerca interlocuzioni coi front man ma non ha molta attenzione per commissioni e processi legislativi.

Nel frattempo, nell’arena dei 5 Stelle arrivano le sindache Virginia Raggi e Chiara Appendino, le cui amministrazioni sono entrate da poco nell’ultimo anno di vita. Impossibile eludere la domanda: hanno davvero in programma di correre ancora?

È altrettanto impossibile leggerne la risposta senza pensare agli equilibri interni al M5S. In teoria, le due si troverebbero alla fine del secondo mandato, dunque non ci sarebbe spazio per la ricandidatura. Ma non è un mistero che proprio la loro posizione di apripista del M5S di governo possa essere utilizzata come testa d’ariete per sfondare il tetto delle due elezioni e avere l’effetto di rilanciare la carriera elettorale di quasi tutto lo stato maggiore grillino.

Raggi sa che questa della continuità amministrativa è una carta a suo favore. Per di più, nei giorni scorsi ha incassato la defezione di una delle sue principali antagoniste romane (la presidente del municipio VII di Roma Monica Lozzi se n’è andata con la ItalExit di Gianluigi Paragone). Pare intenzionata a ricandidarsi con l’appoggio di Crimi e Di Battista. Cerca la benedizione tra gli stand virtuali dell’evento di Casaleggio e si presenta con lo sguardo verso il futuro prossimo: «Parlo dei progetti per Roma, dei piani di rigenerazione urbana che stiamo portando avanti», annuncia Raggi.

Dal canto suo Appendino, volto rassicurante e «borghese» del grillismo per il quale si erano immaginate prospettive da dirigente nel nuovo M5S, è molto più sibillina. «Penso che una città non debba dipendere dal sindaco in quanto tale – dice Appendino – La vera sfida non è chiedersi ‘Se domani non ci sarà Chiara Appendino continueranno a fare piste ciclabili?’, perché in questo modo non dai la continuità al tuo percorso di governo.

La sfida la vinci quando le piste ciclabili ci saranno e continueranno a esserci perché tutti le useremo e le riterremo un elemento fondante della nostra comunità. È così che cambi le città: con un cambiamento culturale che passa da ciascuno di noi».

Oggi ci saranno anche Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, che nel giro di un paio di settimane hanno ruotato come satelliti nell’asse disegnato da Giuseppe Conte spostandosi nello spazio politico. L’ex capo politico lavora per sottrarre centralità al presidente del consiglio, pena l’eclissi della sua funzione di baricentro istituzionale del M5S. Di rimando l’ex deputato è diventato nel giro di pochi giorni, quelli che dall’operazione Autostrade hanno portato al vertice europeo, una sorta di pretoriano di palazzo Chigi.

Chissà se i due avranno modo di incrociarsi. Di sicuro c’è che parleranno da pulpiti differenti. Di Maio si sottoporrà insieme ad altri eletti alle domande della platea, Di Battista interverrà nel corso dell’evento di chiusura per presentare del progetto di «servizio civile ambientale» che ha formulato ormai da qualche mese. I più attenti alle manovre interne fanno notare che Di Battista avrà il privilegio dell’ultima parola: anche ai tempi della politica digitale è un vantaggio non da poco.