«La Corte si limita a rimuovere le condizioni di incostituzionalità ma ricostruire spetta al legislatore». Giovanni Maria Flick, ex ministro della Giustizia e presidente emerito della Corte costituzionale assegna alla politica la responsabilità di quanto la magistratura ha «distrutto» sancendo l’illegittimità della legge Fini Giovanardi.

Perché se la Consulta ha spiegato con chiarezza che spetta al giudice ordinario decidere di volta in volta come muoversi rispetto alle sentenze già emesse, l’unica soluzione per uscire dal caos sembra essere l’intervento del legislatore che «deve porre sul piatto della bilancia da un lato il problema concreto di come rivedere migliaia di processi, dall’altro la necessità di salvare il principio dell’intangibilità della sentenza passata in giudicato e, in terzo luogo, il principio contrapposto secondo cui è difficile accettare l’idea che si continui a scontare un pezzo di pena fondato su una legge incostituzionale».

Flick ha aperto la giornata conclusiva della due giorni genovese ribadendo che «la Consulta è intervenuta su una questione di metodo e non di merito». La vicenda è nota: in sede di conversione del decreto sulle Olimpiadi invernali di Torino quello che inizialmente era un articolo relativo al trattamento socio-sanitario dei tossicodipendenti diventò un macigno di 24 articoli che eliminava la distinzione a fini sanzionatori tra droghe leggere e pesanti. «Personalmente sono più che convinto della irragionevolezza della mancata differenziazione – ha detto Flick – ma non sono certo che la legge sarebbe stata dichiarata incostituzionale nel merito perché la Consulta è sempre stata molto cauta nell’intervenire sulle scelte del legislatore». Per questo la politica deve delineare una strategia seria che coinvolga la società civile: «Occorre legalizzare il consumo di droga, anche di quella pesante, seppure proponendo molte alternative al soggetto che ne fa uso. E’ l’unico modo possibile per combattere la criminalità organizzata».

«L’ampio excursus storico di Flick un po’ preoccupa – ha commentato il deputato di Sel Daniele Farina – perché ha definito la legge Jervolino-Vassalli una mediazione rispetto alle normative precedenti. Non vorrei che il parlamento oggi si accontentasse di mantenere quella mediazione perché contro quella legge, noi che abbiamo i capelli ormai un po’ grigi manifestavamo nelle strade. Se non andava bene allora, non capisco come potrebbe andare bene oggi».

Applausi dalla platea (che sulla carta in pochi si sarebbero aspettati) sono arrivati al deputato renziano del Pd Federico Gelli, medico toscano e membro della ommissione Affari sociali e Sanità quando ha definito la Fini-Giovanardi «la legge più cancerogena della storia repubblicana» e soprattutto quando, dopo aver bollato come «fazioso e di parte il Dipartimento antidroga», ha aggiunto che l’attuale capo Giovanni Serpelloni «deve essere cacciato». «Il dipartimento per le politiche sulle dipendenze non deve più dipendere dalla presidenza del consiglio – ha spiegato Gelli – ma da uno dei ministeri effettivamente competenti, il Welfare o la Salute. Renzi deve poi indicare un referente che rimetta in moto una politica di concertazione che è stata completamente abbandonata in questi anni».

Il passaggio successivo deve essere una nuova legge sulle droghe: «Occorre avviare subito un confronto tra il governo e le parti sociali, cioè il volontariato, il privato sociale e il mondo delle comunità per iniziare un percorso che porti a una nuova legislazione nazionale che risenta di quello che è successo ma che guardi anche oltre, grazie alle evidenze scientifiche di cui oggi siamo in possesso e alle esperienze internazionali europee per creare una nuova dimensione legislativa dopo tanti anni di oscurantismo».