In un Senato deserto il ministro della Giustizia risponde all’interrogazione di uno dei capigruppo della sua maggioranza. Faraone, Idv, chiede cosa il Guardasigilli intenda fare in merito alla registrazione in cui il magistrato Amedeo Franco, nel frattempo deceduto, parlava di «plotone d’esecuzione» per la sentenza contro Berlusconi, di cui lui stesso era stato relatore. Bonafede svicola.

Nella replica il capogruppo renziano apre alla commissione d’inchiesta parlamentare sul caso: «Eravamo contrari ma se il ministero rifiuta di fare chiarezza bisogna considerare l’inchiesta parlamentare». È un segnale, più preciso di come non si può.

Un altro segnale era arrivato 24 ore prima, quando nella commissione Giustizia di palazzo Madama era passata, con il voto della destra e di Iv, l’istituzione della «Giornata della memoria» per le vittime della giustizia. Una mazzata se si tiene conto che in questo modo le vittime della giustizia vengono equiparate a quelle della mafia o del terrorismo.

In mezzo c’era stata la bomba di Romano Prodi: «L’ingresso di Forza Italia in maggioranza non è certo un tabù». E su Berlusconi: «La vecchiaia porta saggezza». Il vecchio saggio ovviamente declina con una nota di Fi: «La disponibilità alla collaborazione istituzionale non ha in alcun modo il significato di un atteggiamento benevolo, oggi o in futuro, verso l’attuale maggioranza . Non vi è alcuna disponibilità a sostenere Conte». Capitolo chiuso? Certo che no. Prodi non è nato ieri e certo non si aspettava risposta diversa. L’importante era lanciare il segnale, come già aveva fatto lo stesso Conte e come ha fatto poi ieri, aggiungendosi al coro, il capogruppo del Pd Marcucci: «Le idee e i valori di una parte di Fi possono essere di grande utilità». E poi: «Prodi invita tutti gli europeisti a stare dalla stessa parte. Sono d’accordo».

Probabilmente, se si cerca un minimo comun denominatore nelle diverse motivazioni che giustificano questo tripudio di apprezzamenti per Berlusconi bisogna guardare alle ultime parole di Marcucci. Certo, a breve prevalgono calcoli di più corto respiro. La speranza di poter contare su una rete di salvataggio al Senato, dove i numeri sono quelli che sono. Il tentativo di allettare alcuni senatori azzurri per spingerli a cambiare campo e rinsaldare la maggioranza.

La necessità per Renzi di giocare nella maggioranza vantando una sponda con l’opposizione e anche la possibilità di conquistare la prossima settimana qualche presidenza di commissione in più grazie a quei rapporti. L’esigenza di Conte di tenersi ogni possibilità aperta incluse quelle più improbabili, come un divorzio tra Berlusconi e il resto della destra, nell’eventualità di un terremoto in autunno.

Però l’obiettivo di fondo è a più lungo raggio. Fino a settembre, salvo sempre possibili incidenti, non succederà niente. Nessuno vuole la crisi, neppure la destra che ha avuto col voto sulle missioni, due giorni fa, un’occasione d’oro per affibbiare una mazzata alla maggioranza dimostrando che senza l’opposizione non esisterebbe e ha evitato di coglierla non convocando in aula tutti i suoi senatori.

I giochi veri, e il conto alla rovescia per il governo, inizieranno dopo l’approvazione della nuova legge elettorale, proporzionale e con sbarramento abbassato quasi certamente al 3%. A quel punto, in un quadro politico tutto diverso, l’eventualità di una forza centrista staccata dalla destra e composta anche da Fi diventerà di massimo interesse per tutti. Soprattutto per chi potrà invocare la comune ispirazione europeista con quel nuovo centro.