Tiergartenstrasse 4 era l’indirizzo berlinese della villetta in cui aveva sede l’ufficio della Cancelleria del Führer addetto alla esecuzione del programma di eutanasia rivolto a portatori di handicap fisici e mentali, noto come Aktion T 4. Ma T è anche l’iniziale del monte Taigeto, sfondo di uno dei primi (leggendari, in realtà) episodi di eugenetica della storia, cui è intitolato il romanzo di Anna Dziewit-Meller, Il monte Taigeto (trad. di Gaia Bisignano e Marcin Wyrembelski, la Parlesia, 2019, pp. 166). Vi si intrecciano le vicende personali dei membri della famiglia slesiana dei Kowolik a quelle dello sterminio di più di 85.000 pazienti psichiatrici o invalidi avvenuto negli anni tra il 1939 e il 1944 nel Reich e nella Polonia occupata.

Tra questi, silenziosi coprotagonisti, i cinquecento bambini polacchi soppressi nel Kinderfachabteilung di Konradstein, oggi Kobcowo, in Pomerania. Il romanzo si apre con un capitolo dedicato al farmacista Sebastian e alla sua recente, combattuta paternità. Un suo ex insegnante di liceo gli chiede di aiutarlo a commemorare ufficialmente i bambini sterminati nell’ospedale cittadino durante la guerra, ma le autorità slesiane appaiono del tutto contrarie a rinfocolare il ricordo di quegli eventi lontani. Sulla Slesia già tedesca e poi polacca sembra gravare una perenne catastrofe: il genocidio prima, la crisi ambientale poi. I fumi grassi dei crematori di Birkenau si sono trasformati senza soluzione di continuità in quelli delle centrali a carbone o degli altiforni.
L’incapacità di uscire dalla dimensione dello sterminio è d’altra parte comune a gran parte della Polonia: i marciapiedi di Varsavia, una città «marcia, rosa dai vermi…», poggiano su strati di cadaveri.

Il capitolo conclusivo, che si svolge nel Museo dei Giocattoli di Norimberga, vede un soldatino di Hitler esporre la necessità della Aktion T 4 a un pubblico di funzionari e SS in miniatura: così come non possiamo presupporre una aprioristica «innocenza» morale della medicina, nemmeno i giocattoli possono essere considerati ipso facto neutrali.

Fin qui d’accordo; ma c’è qualcosa che stride, nel testo, ed è la traduzione (dal tedesco? dal polacco?) di un manifesto di propaganda a favore della eutanasia: «Questo uomo affetto da una malattia ereditaria costa ben 60.000 marchi alla società. Compagno, sono anche i tuoi soldi. Crea un popolo nuovo!».
Il manifesto, del 1938, recitava: «Volksgenosse, Das ist auch Dein Geld»: se anche l’autrice o i traduttori avessero voluto introdurre un’analogia tra totalitarismi di segno opposto, è evidente che la propaganda comunista (ma quale, poi?) non avrebbe mai fatto ricorso ad argomenti di gretta contabilità borghese e avrebbe indicato come un «uomo» nuovo, non un nuovo popolo, il fine necessario a giustificare i sacrifici economici. E infatti il termine «Volksgenosse», connotato ideologicamente e razzialmente, non significa «compagno», ma «compatriota».