La disordinata nuvola di capelli arruffati, la sciarpa a quadretti annodata al collo, le mani affondate nelle tasche nel giaccone, lo sguardo diretto quanto enigmatico. L’iconica immagine di Bob Dylan leggermente sfuocata sulla copertina di Blonde on blonde, segnerà un’epoca, la voglia di cambiare con la sua estetica crudamente pop, la rivoluzione in movimento del 1966. La foto è di Jerry Schatzberg, allora ritrattista importante e amico di Sara (la prima moglie di Bob), risultato di un sodalizio cominciato durante le sedute di registrazione di Highway 61 Revisited e durato due anni e mezzo fra complicità, scorribande notturne, feste, pose in studio, foto rubate ai concerti e altre «pensate» come quella scelta per la cover dell’album.
«Avevo iniziato a fare foto in studio e non ero soddisfatto – racconta Schatzberg che poi è stato regista di notevoli film, Lo spaventapasseri, Panico a Needle Park – Gli ho chiesto se non gli dispiaceva uscire. Da giovane i miei genitori mi portavano in un posto di New York che chiamavano Meatpacking District. L’avvenimento mi faceva sempre felice. Con Dylan e altri prendemmo la macchina per raggiungere il posto. Eravamo ai primi di febbraio. Come si può vedere Dylan aveva addosso una giacca leggera e io pure. Dopo un po’ abbiamo iniziato a rabbrividire e ho avuto difficoltà a tenere ferma la macchina fotografica. Alla fine della sessione cinque o sei foto erano mosse. Ha scelto una di quelle».

TANTISSIME di quelle fotografie, più di 200, sono state raccolte in un volume di grande formato, Dylan/Schatzberg (Skira, 250 pagine, euro 55) contenente pure la nota A Night with Bob Dylan di Al Aronowitz, pubblicata sul New York Herald Tribune del 1965 e una lunga intervista di Jonathan Lethem a Schatzberg, oggi ha 91 anni e ricorda ancora con entusiasmo «il piacere di manipolare la sua immagine». Nell’ampia selezione di scatti, essenziali e intramontabili, Dylan appare visibilmente rilassato con un ironico senso di familiarità, prendendo cose dallo studio del fotografo, mordendo l’armonica come una barretta di cioccolato, chiudendo l’orecchio col pollice, attaccando con le pinze un quadretto di una donna, quasi a voler cercare la vera essenza, simile al fotografo alla ricerca dell’uomo misterioso dentro la musica, al tentativo di far intravedere, per un momento, la sua anima più recondita. Intorno ci sono Robbie Robertson e gli altri musicisti che poi diverranno la Band, Edie Segwick e molti del cerchio warholiano, i Rolling Stones vestiti da madri inglesi del dopoguerra, dappertutto quella carica di energia assurda e oscillante trasmessa dalla sua inconfondibile voce, quei testi molto liberi delle canzoni scanditi come giaculatorie, quel volto decisamente inafferrabile e un po’ fuori fuoco.