La notizia che un 33enne di Hong Kong sarebbe stato reinfettato una seconda volta dal virus della Sars-CoV-2, che si è diffusa lunedì scorso grazie a una nota stampa dell’università dell’ex colonia britannica, l’Hku ha già fatto il giro del mondo suscitando reazioni vivaci. Secondo quando riportato dal giornalista Kai Kupferschmidt sulla rivista Science, uno degli autori dell’articolo che descrive il caso, non ancora pubblicato, Kelvin To dell’Hku, avrebbe affermato perentorio che la reinfezione «dimostra che almeno alcuni pazienti non presentano immunità di lunga durata».

AGGIUNGENDO che sarebbe «improbabile che l’immunità di gruppo [conferita da un vaccino, ndr] possa eliminare il virus» e che i vaccini «potrebbero non essere in grado di fornire una protezione perenne contro il virus». I ricercatori sarebbero stati in grado di dimostrare che il virus che ha colpito l’hongkonghino la prima volta è diverso da quello della seconda volta, che il cittadino cinese avrebbe contratto dopo un viaggio in Spagna.

La sequenza genetica del secondo virus conterrebbe infatti 24 mutazioni nel suo Rna. Secondo l’immunologa Antonella Viola dell’Università di Padova, anche se mutato, il virus è lo stesso (al contrario di quanto affermano alcuni): «I virus mostrano sempre piccole mutazioni al loro interno dovute a errori casuali durante il processo di replicazione. Ma queste mutazioni non sono significative, nel senso che non cambiano le proteine importanti per il virus. Nel caso di questo paziente, i ricercatori hanno dedotto che 24 mutazioni erano troppe perché potessero essere avvenute dentro di lui nei quattro mesi fra la prima e la seconda infezione, e pertanto hanno dedotto che deve essersi trattata di una reinfezione», spiega.

«LA GRANDE FORTUNA è che il virus era stato sequenziato la prima volta, cosa che non accade sempre: per questo non abbiamo potuto dimostrare altre reinfezioni».

Alfredo Corell, immunologo dell’Università di Valladolid, in Spagna, non ha dubbi: «Non sarà né il primo, né l’ultimo caso», dice al manifesto. «Superare la malattia e generare immunità non significa che non te la possa prendere di nuovo. Ma nella seconda infezione possiamo rispondere più agilmente e più efficacemente», spiega. «Di fatto, è probabile che la seconda volta non abbia avuto nessun sintomo proprio perché era immunizzato. Vuol dire che il sistema immunitario funziona come deve», conclude.

SE VIOLA AMMONISCE che «un caso unico non fa storia», e che «non possiamo generalizzarlo», il giovane biotecnologo di Barcellona Gonzalo Mercado Vico sottolinea che «questo caso è importante perché è documentato».

E aggiunge: «Il fatto che la prima volta nel paziente cinese la malattia mostrò sintomi lievi forse potrebbe significare che ha generato un livello di immunità inferiore. Ma non lo sappiamo perché non è stato monitorato il livello degli anticorpi. E comunque il livello di immunità non dipende solo dalla presenza di anticorpi».

Non è chiaro se il paziente la seconda volta fosse ancora infettivo: «in teoria se il virus è rilevabile attraverso la Pcr», cioè il tampone, «il paziente è infettivo». In ogni caso ricorda che reinfezioni in casi eccezionali sono già state osservate, per esempio nella polio: con 20 milioni di infetti nel mondo, «qualche raro caso di reinfezione non implica che il vaccino non funzioni in generale», ricorda Mercado.

Viola si dichiara non sorpresa: «sappiamo che i coronavirus [come quelli che causano un terzo dei comuni raffreddori, ndr] danno infezioni consecutive, e avevamo dati Covid-19 che dimostrano che nel giro di 3 mesi gli anticorpi scompaiono o diminuiscono molto. Ma questo non significa che non ci sia protezione: magari non contro l’infezione, ma contro la malattia sì».

CERTO, AGGIUNGE, potrebbe essere stato asintomatico come tanti altri, magari perché la carica virale era inferiore, o per il suo stato di salute generale, o magari perché di solito le malattie respiratorie sono più acute d’inverno: «non lo sappiamo, bisognerebbe fare uno studio accurato sulla memoria immunologica, quelle cellule attivate dopo il primo contatto con il virus e che permangono nell’organismo come sentinelle», dice. «È il meccanismo alla base del funzionamento dei vaccini. Nel caso della Covid-19 sappiamo che la risposta immunitaria è diversa a seconda del tipo di paziente ed è possibile che sia lo stesso per lo sviluppo della memoria». Sul futuro è comunque ottimista: «È straordinario che la comunità scientifica mondiale sia stata in grado di predisporre tanti vaccini diversi in così poco tempo: così potremo valutare qual è il più efficace».