Donna tra due mondi», come si è definita lei stessa, Rama Burshtein è la prima autrice cinematografica proveniente dalla comunità Chassidica, che pratica una forma di ebraismo ultra ortodossa. Il suo film d’esordio – La sposa promessa, titolo internazionale Fill the Void, riempire il vuoto – ha debuttato nel 2012 nel concorso di Venezia 69, dove la giovane protagonista Hadas Yaron è stata premiata con la Coppa Volpi alla miglior interpretazione femminile.
A quattro anni di distanza Rama Burshtein tornerà sul Lido veneziano per presentare, stavolta nel concorso di Orizzonti, il suo nuovo film Through the Wall, che ha già una distribuzione italiana con Valerio De Paolis: uscirà in sala a novembre con il titolo Un appuntamento per la sposa.

Come già La sposa promessa, il film gira intorno a un matrimonio mancato, in quest’ultimo lavoro virato in commedia: Michal, la protagonista trentaduenne, viene abbandonata dal fidanzato a un mese dal grande evento, ma decide di sposarsi comunque «con l’aiuto di Dio» che la sosterrà nella ricerca di un «nuovo» futuro marito.
In Fill the Void, invece, a mandare in fumo l’atteso matrimonio della diciottenne Shira era la morte di parto della sorella Esther: per non perdere anche il bambino la famiglia della protagonista cerca di convincerla a sposare Yochay, il genero rimasto vedovo. Il «romanzo di formazione» di Shira ha così una trama che si dipana in un mondo sconosciuto alla maggior parte degli spettatori, quello appunto dell’ebraismo ultra ortodosso in cui i matrimoni sono combinati, i rapporti sociali seguono delle regole ben precise e le parole del rabbino hanno un immenso valore.

A condurci al suo interno è però una donna che conosce profondamente entrambi i mondi: quello sullo schermo e quello di chi guarda. Rama Burshtein è nata infatti a New York all’interno di una famiglia che definisce «molto liberale».
Trasferitasi giovanissima in Israele, ha sempre ricevuto incoraggiamenti: «Mi dicevano continuamente ’Rama, esprimi te stessa scrivi, canta, balla, purché tu trovi una forma di espressione». È così che si iscrive alla Sam Spiegel Film and Television School di Gerusalemme, dove studia cinema.

La sua «vita nel mondo», come lei la definisce, si interrompe verso i vent’anni, quando entra nella comunità Chassidica e sposa un uomo con un percorso di «conversione» simile al suo. Non si ferma però il suo rapporto con il cinema: per anni Burshtein dirige e scrive dei film fatti per le altre appartenenti alla comunità: «È un’industria di donne per sole donne, in rapida espansione ma che non ha nulla a che fare con l’arte. È come la tv degli anni Quaranta, con un linguaggio molto primitivo e fortemente melodrammatico».
L’idea per il suo primo film rivolto al mondo esterno viene da una conversazione con un’amica, che la presenta alla nipote sposata con il marito della sorella morta.
Così nasce La sposa promessa, la cui gestazione dura oltre dieci anni e che porta Rama Burshtein dove non si sarebbe mai aspettata: il mondanissimo tappeto rosso del Festival del cinema di Venezia, dove il marito in abiti tradizionali la osservava, senza scomporsi, poco distante.
Per molto tempo, racconta la regista, è stata convinta che Fill the Void sarebbe stato il suo primo e ultimo film. Presto però ci condurrà di nuovo in una terra straniera.