Nel buio orizzonte di queste elezioni europee s’apre una luce che può far sperare: l’affermazione dei Verdi. In Germania sono diventati il secondo partito, con il 20,50 per cento dei voti; secondi anche in Finlandia col 16%; in Francia sono arrivati terzi, col 13,47%, Nel Regno Unito hanno superato i Conservatori. E sono andati bene anche in Danimarca, Irlanda, Belgio, Olanda, Svezia. Complessivamente sono passati da 52 a 69 seggi nell’Europarlamento.

Diversi commentatori hanno giustamente collegato tali successi alla rapida e amplissima affermazione del movimento di lotta contro l’alterazione del clima. Un movimento la cui ultima manifestazione, il 24 scorso, durante le elezioni, si è svolta contemporaneamente in 1.800 città di 128 paesi del mondo. Si tratta di un movimento senza precedenti i cui protagonisti, massimamente giovani e giovanissimi, si sono dimostrati consapevoli di alcuni fatti essenziali.

Il primo è di battersi nell’ultima trincea per la salvezza dell’umanità dalla minaccia incombente sui beni primari che ne consentono la sopravvivenza: suolo coltivabile, acqua potabile, aria respirabile.

Il secondo è la consapevolezza che a questa si affianca necessariamente la lotta per un modello di sviluppo radicalmente diverso da quello ostinatamente perseguito nell’età del capitalismo industriale e della società dei consumi.

Il terzo è che il richiamo dei politici alle loro responsabilità significa ricordare che scopo della loro azione è il perseguimento dei fini generali del consorzio sociale e che i loro obiettivi non possono che coincidere con il bene comune di tutte le popolazioni della Terra.

A questo punto si aprono due possibili percorsi.

Il primo consiste nel tradurre questo richiamo alle responsabilità in un appello rivolto indifferentemente a politici di diverse formazioni ed orientamenti, anche quelle che in passato si sono dimostrate sorde al problema, nella speranza di sollecitarne sensibilità ed attenzione. Potremmo definirla una via “possibilista”, nel senso che si attiene all’esistente e non esclude alleanze anche con partiti su posizioni tradizionalmente distanti. Una via, non a caso evocata da figure precipuamente politiche, come il co-presidente dei Verdi europei, Philippe Lamberts.

Il secondo consiste, invece, in uno sviluppo tenace e sistematico della lotta intrapresa attaccando tutte le posizioni incompatibili con, o avverse agli obiettivi conclamati del movimento.

Se prevarrà questa seconda via, i militanti di Fridays for Future continueranno ad esprimere posizioni radicali ed incompatibili con il sistema dominante.

In tal caso potrebbe verificarsi un nuovo e dirompente fronte di lotta che, per ampiezza e prospettive, farebbe ricordare quello dei lavoratori che reagirono agli effetti della seconda rivoluzione industriale e più decisa trasformazione capitalista delle campagne a fine Ottocento e primo Novecento. Quasi una nuova alba tinta di verde.

Né ci sarebbe da meravigliarsi se dopo più di un secolo d’intenso sfruttamento e mercificazione del lavoro umano e delle risorse naturali, l’esigenza di ricostruire il rapporto armonioso tra uomo e natura, la loro intima e indissolubile appartenenza attinga all’ecologia più radicale, al richiamo ultimo e ultimativo del nostro essere abitanti del pianeta, dell’unico pianeta che abbiamo, come questi giovani non si stancano di ripetere.

Oggi il completamento della rottura del rapporto uomo-natura minaccia il futuro stesso della specie. Sicché siamo chiamati ad una maieutica ancora più profonda, la maieutica dell’evoluzione della nostra specie e della sua riorganizzazione sociale.