La distanza tra Roma e Bruxelles non è mai stata così grande. Paradossalmente più il Pd tenta di rimanere ancorato a Palazzo Chigi, più dimentica le sue voci migliori, come quella dell’ex Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, attualmente nella capitale belga come eurodeputato dem, che appena qualche anno fa avvertì il parlamento italiano sulla necessità di adottare «una rigorosa e chiara politica di legalizzazione della vendita della cannabis, accompagnata da una parallela azione a livello internazionale».

Un punto di vista distante anni luce da quello che sembra aver ispirato l’annunciata riforma della legge sulle droghe, prospettata mercoledì dalla ministra Lamorgese quasi come un contentino da dare alle forze di polizia, frustrate dall’inutilità di arrestare piccoli spacciatori che – guarda un po’ – non possono essere trattenuti in carcere prima del processo. Mentre, va ricordato, la delega alle politiche antidroga non è stata ancora assegnata all’interno del governo e l’ultima conferenza nazionale che per legge dovrebbe tenersi ogni tre anni risale al 2009 (ma è stata autoconvocata dagli operatori e dalle associazioni che si occupano di tossicodipendenze per il 28 e 29 febbraio a Milano).

IN OGNI CASO, un testo vero e proprio sembra ancora mancante a Palazzo Chigi, ma la norma con la quale il Viminale, in accordo con il Guardasigilli Bonafede, vorrebbe «superare l’attuale disposizione dell’articolo 73 comma 5» – che per lo spaccio di «lieve entità» (di droghe sia leggere che pesanti) prevede la reclusione da 6 mesi a 4 anni, dunque pene al di sotto di quelle per le quali è applicabile la custodia cautelare – potrebbe rendere obbligatoria appunto la carcerazione preventiva per i recidivi. Come se ce ne fosse bisogno, nei nostri sovraffollati penitenziari: secondo Antigone, infatti, i detenuti in carcere in attesa di sentenza definitiva alla fine del 2018 erano il 32,8% del totale, contro la media europea del 22,4%.

Le parole della ministra Lamorgese hanno soddisfatto, come era prevedibile, alcuni sindacati di polizia. Ma anche la Lega, firmataria con il deputato Riccardo Molinari del ddl «droga zero» che martedì ha iniziato il suo iter in commissione Giustizia, abbinato alla proposta del radicale Riccardo Magi. Il deputato di +Europa, che è anche tra i promotori dell’Intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, intervenendo in Aula ha invece ricordato che «i processi per violazione delle leggi sugli stupefacenti sono il principale motivo di intasamento delle aule giudiziarie» e che per velocizzare la giustizia italiana bisognerebbe «depenalizzare, invece che inseguire il panpenalismo, o fermarsi a discutere di prescrizione».

La pdl presentata da Magi prevede, al contrario di quella della Lega, «il trattamento sanzionatorio in un alveo di proporzionalità, in linea con i principi costituzionali, accentua il carattere di autonomia della fattispecie penale relativa ai fatti di lieve entità, e differenzia il regime sanzionatorio in funzione della diversa natura della sostanza», anche per tentare di separare i mercati illegali delle sostanze e renderli meno pericolosi. La proposta di +Europa dà inoltre corpo legislativo alla sentenza delle sezioni unite della Cassazione del dicembre 2019 rendendo non punibile chi coltiva in casa un numero limitato di piante di marijuana ad uso strettamente personale.

ANCHE MAGISTRATURA democratica ha criticato il progetto governativo annunciato dalla ministra dell’Interno e ha chiesto invece «un cambio di paradigma»: «Siamo il Paese del Consiglio d’Europa – scrivono i magistrati – con il più alto numero di ristretti per violazione della legge sulla droga (circa il 30% della popolazione detenuta) e con un tasso elevatissimo di detenuti tossicodipendenti (il 25% dei detenuti complessivi). Eppure non abbiamo fatto passi in avanti nella lotta alla droga sulla salute e lo spaccio continua a proliferare nelle strade».

PROPRIO IERI a Roma è iniziato il congresso internazionale degli esperti delle Agenzie antidroga tra cui Dea e Interpol e dei corpi di polizia, in rappresetnanza di 57 Paesi. L’allarme lanciato tra gli altri dal direttore dell’Osservatorio europeo delle droghe, Alexis Goosdeel, e rilanciato anche dal generale dei carabinieri Giovanni Nistri e dal capo della polizia Franco Gabrielli riguarda una superprolificazione di droghe di tutti i tipi, «naturali e sintetiche, pure e potenti, a costi sempre più bassi». E a questo mercato illegale, che non è mai stato così unificato, si servono «sempre più consumatori e sempre più giovani». Il narcotraffico, quello vero e potente che permette alle organizzazioni criminali di fatturare «decine di miliardi di euro», «è un cancro per l’intera società» e, ha ammonito il comandante della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana, può «arrivare ad incidere anche sulla vita democratica del Paese».

ECCO PERCHÉ andrebbe ricordato sempre, come fanno le esponenti del Partito Radicale Carla Rossi, dell’Unodc, e Maria Antonietta Farina Coscioni, che le forze dell’ordine andrebbero impiegate meglio, al fine di contrastare il grande spaccio: «Secondo i dati pubblicati dalla Dia – spiegano – dal 2009 a oggi l’indice di efficacia delle operazioni antidroga nei confronti dei piccoli spacciatori, oscilla dal 5,7% (2013), al 6,9% (2016); i soggetti denunciati, quando finiscono in carcere sono immediatamente rimpiazzati, e comunque la quantità di sostanza sequestrata è compresa tra il 5 e il 10%». Per questo, scrivono le due radicali, quello annunciato «è l’ennesimo provvedimento-manifesto di nessuna utilità e sicuro danno».