Individualità e collettivo: è questo il binomio su cui punta Aterballetto di Reggio Emilia, sedici danzatori sempre più luminosi nel presentarsi come ensemble sfaccettato, duttile alla diversità della coreografia del nostro tempo. Una configurazione intrecciata con i progetti a largo spettro della Fondazione Nazionale della Danza guidata da Gigi Cristoforetti che ha individuato quest’anno in Sveva Berti (cresciuta in Aterballetto come danzatrice e poi maïtre) la nuova direttrice di compagnia. Ottima scelta. L’ultimo spettacolo di Aterballetto, Dreamers, è un trittico a firma Philippe Kratz, Rihoko Sato e Ohad Naharin e ha debuttato con successo al Festival Oriente Occidente di Rovereto, al Teatro Zandonai.

PHILIPPE KRATZ danza in Aterballetto dal 2008, dedicandosi anche alla coreografia. Il suo duetto O, che gioca sulla focalizzazione della densità del movimento, ha vinto il primo premio all’International Choreographic Competition Hannover 2018. Per Dreamers ha lavorato con tutti e quindici i suoi compagni: il suo Cloud / Materia parte dal pensiero sul rapporto tra astrazione e concretezza, filosofia e scienza, della tessitrice e designer del Bauhaus Anni Albers. Un pezzo in cui il respiro del movimento singolo e collettivo dei danzatori (tra cui brilla la giovane Grace Lyell) rende visibile nello spazio, per apparizione e scomparse, «nuvole e materie», l’ordito di un immaginario tessuto, complice la partitura elettronica di Borderline Order con quel suo pulsare ticchettante, memore forse del ritmo di antiche macchine da cucire.

DEBUTTO anche per Rihoko Sato, storica danzatrice del giapponese Saburo Teshigawara, alla sua prima volta come coreografa per Traces. 20 minuti per un viaggio sospeso nel tempo intorno alla figura di Ina Lesnakowski che ha abbracciato con sottigliezza la scia fuggevole del segno di Rihoko. Con Ina altri sette danzatori in un apparire di tracce lasciate nello spazio, un moto circolare di onde che si intersecano in un’atmosfera crepuscolare rischiarata da morbidi flussi di luce. Con quella pienezza coreografica che è segno di una grande mano d’autore, chiude il trittico Secus di Ohad Naharin, pezzo solare e sorprendente, un’iniezione di sorprese, contrappunti di linee nello spazio, alternanza tra pieni, duetti, terzetti: graffio del linguaggio «gaga», ideato da Naharin, carpito con naturalezza e fuoco dai sedici di Aterballetto.