Il clima a palazzo Chigi è quello che si respira dopo le battaglie vinte. Non la guerra, che è appena cominciata e sarà lunga, ma la soddisfazione di Mario Draghi e del ministro dell’Economia Daniele Franco, al termine del consiglio dei ministri che ha appena varato la Nadef, è sincera e straripante. Però l’esordio è un altro e più tragico bollettino di guerra: la lista dei morti sul lavoro, che si allunga sempre più rapidamente.

Draghi legge i nomi delle vittime del giorno prima, assicura che tra governo e sindacati c’è piena sintonia. Promette interventi urgenti, anche se per sanare la situazione alla radice ci vorrà tempo: punizioni più severe e immediate per le aziende che non rispettano le regole di sicurezza. Solo che quelle aziende inadempienti bisogna individuarle e senza un massiccio piano di assunzioni per effettuare i controlli, del quale non c’è traccia, sarà impossibile.

QUANDO SI PASSA al vero oggetto dell’incontro, il tono cambia. Le previsioni, rivendica il premier sono «di gran lunga migliori di quanto previsto 5 mesi fa». Crescita al 6% invece che al 4,8%, con stime del 4,7% l’anno prossimo, grazie agli interventi della legge di bilancio, e ancora sostenute nel biennio successivo, 2,8% e 1,9%. Il deficit passa dal preventivato 11,8% al 9,4% e il risultato permette di rivedere i calcoli per l’anno prossimo al rialzo: dal 4,4% al 5,6% per poter disporre di 22 miliardi in più da usare per sostenere la crescita.

La guerra vera è quella: rendere stabile una crescita che è dovuta sì alle politiche economiche dei governi Conte 2 e Draghi ma anche, anzi soprattutto, al rimbalzo dopo il tonfo del 2020 e a un quadro internazionale favorevole, con i tassi a zero o addirittura negativi, che non durerà in eterno. Per uscire da una stagnazione che si prolunga da trent’anni ci vuole invece una crescita «equa, sostenibile e costante».

La chiave dei risultati ottenuti in questi mesi, azzarda Draghi, è la campagna vaccinale: grazie alla vaccinazione la produzione è ripresa e l’Italia ha riscosso una fiducia tradottasi in investimenti esteri che hanno già superato il tonfo del 2020. Tutto vero, come è vero e comprensibile che il premier voglia rivendicare il successo del suo Green Pass e bacchettare chi lo ha ostacolato. Ma forse in quella esaltazione della strategia usata sul fronte sanitario c’è qualcosa di più: l’intenzione, non annunciata ma lasciata trapelare, di usare anche per la battaglia della crescita la stessa miscela di drasticità e decisionismo adoperata nella campagna vaccinale.

CERTO BISOGNA che l’Europa regga il gioco, non provi a tornare alla situazione pre Covid. Il premier è ottimista. «Il debito scende, di poco ma scende e questa è la prima dimostrazione pratica del fatto che il rimedio per il debito è la crescita». Nessuna austerità dunque ma l’opposto. Le previsioni sul calo del debito infatti sono volutamente lente: quest’anno il 153,5% dal picco del 155,6% del 2020, poi una lieve discesa sotto il 150% l’anno prossimo per arrivare nel 2024 al 146,1%. Già ma che succede se in Germania il ministero delle Finanze finisce in mano ai falchi liberali? L’eventualità preoccupa sino a un certo punto l’ex presidente della Bce: «Non è che tutto dipenda da chi fa il ministro, come se non ci fossero l’intero governo e il cancelliere». E come se non ci fosse una situazione oggettiva che, tra l’altro, impone a tutta la Ue di investire molto di più sulla difesa: «Non mi pare che si possa tornare alla situazione di due anni fa».

DRAGHI HA LE IDEE chiare, una mèta precisa e la piena determinazione a raggiungerla. Sui passi concreti, però, è molto meno preciso. Di certo ci sarà il rinnovo del superbonus per tutto il 2023, ma tutto il resto è da definirsi con la legge di bilancio, della quale si inizierà a discutere nei prossimi giorni e la settimana prossima si riunirà anche la cabina di regia sull’attuazione del Pnrr. La riforma del catasto si farà, ma Draghi assicura che nessuno pagherà un euro in più o in meno e a tassare la prima casa non ci pensa nessuno.

La delega fiscale, rallentata «dagli impegni del governo e non dai partiti», arriverà la settimana prossima ma lo stanziamento per la riforma fiscale è ancora da valutarsi, così come l’intervento su quota 100 e la revisione del Reddito di cittadinanza. La parola equità risuona più volte. Franco assicura che è nell’interesse stesso della crescita garantirla. Ma cosa s’intenda nel concreto non si sa.

IL COLLE E LA NADEF hanno poco a che spartire, ma la domanda sull’eventuale ascesa al Quirinale è ormai rituale. Draghi è visibilmente contrariato, ripete che così si offende Mattarella. Comunque, sbotta alla fine, «non dovete chiederlo a me ma al parlamento». Non sembrano le parole di un premier che escluda il gran passo.