Il target relativo all’inflazione nell’area euro non è stato ancora raggiunto – ha segnalato ieri il presidente della Bce Mario Draghi in un intervento a Francoforte – e una delle «questioni chiave» è quella dei salari. Non crescono abbastanza per poter trasmettere quella stabilità dei prezzi a cui punta la Banca centrale europea. Un sollecito che dovrebbe dire qualcosa ai nostri governi e al mondo delle imprese.

Nonostante i progressi sul fronte economico – il riferimento è alla crescita, e allo stimolo dato dal Quantitative easing – «dal punto di vista della politica monetaria il nostro compito non è completo, poiché non abbiamo ancora visto un aggiustamento sostenuto nel percorso dell’inflazione», ha spiegato il governatore centrale. «Non siamo ancora a un punto in cui la ripresa dell’inflazione possa sostenersi da sola senza l’aiuto della nostra politica accomodante (il Qe, ndr)».

Draghi segnala due indicatori importanti per misurare la durata dell’inflazione: «Il primo è la prospettiva di crescita, poiché questo ci aiuta a valutare se l’inflazione continuerà a salire come ci aspettiamo; il secondo è l’inflazione sottostante», che permette di «valutare se i prezzi si stabilizzeranno attorno al nostro obiettivo una volta che gli effetti di fattori volatili, come le oscillazioni del petrolio e dei prodotti alimentari, si siano attenuati».

«Le prospettive di crescita – ha aggiunto quindi il presidente della Bce – stanno chiaramente migliorando, per tutti i motivi che ho menzionato ma il trend di inflazione sottostante rimane moderato». Quella che Draghi definisce «inflazione sottostante» «è – aggiunge – aumentata moderatamente dall’inizio di quest’anno, ma manca ancora un chiaro slancio verso l’alto. La questione chiave qui è la crescita dei salari». Dalla prima metà del 2016, la crescita delle retribuzioni per dipendente «è aumentata, recuperando circa la metà del divario rispetto alla media storica – spiega ancora il governatore centrale – ma le tendenze generali rimangono moderate e non sono diffuse».

Insomma, i salari dovrebbero crescere. Ma non basta, perché la Bce ha diffuso anche degli indirizzi rispetto ai conti pubblici, invitando i governi a non adagiarsi troppo sui recenti positivi dati sulla crescita, e a mettere mano ai debiti per correggerli. Molti pensano chiaramente all’Italia, e a quello che potrebbe essere dei nostri già precari equilibri dopo il prossimo rallentamento e poi conclusione del Quantitative easing.

«Con la ripresa in corso – ha avvertito dunque Draghi – ora è il momento giusto per l’area dell’euro per affrontare ulteriori sfide alla stabilità. Questo significa mettere in ordine i conti nazionali e costruire riserve per il futuro, non solo attendere la crescita per ridurre gradualmente il debito».

Note positive, infine, riguardano le imprese italiane: che hanno visto il loro debito «scendere di circa 30 punti percentuali dalla fine del 2012, tornando allo stesso livello di metà 2007», ha concluso il presidente della Bce.