Era un appuntamento atteso per tre ragioni diverse la conferenza stampa a palazzo Chigi sul nuovo dpcm: perché cadeva in un momento particolarmente difficile, sulla soglia di una fase che si preannuncia di aggravamento, perché era la “prima volta” del nuovo governo e perché, sino a ieri mattina, era considerata probabile, se non certa, la presenza del premier. Su questo ultimo punto i giornalisti sono rimasti delusi, con immancabile coda di polemiche. Draghi ha delegato il compito ai ministri competenti, quello della Salute Speranza e quella della Regioni Gelmini, invece di occupare la scena come nello stile del predecessore. «Il premier opera nell’ottica dello spirito di squadra», ha spiegato laconica la sua portavoce. In futuro si troverà modo di organizzare incontri, ha aggiunto. Ma è già chiaro che Draghi comparirà poco, essendo il suo approccio quello illustrato appena sciolta la riserva: a parlare devono essere i fatti, non gli show.

Sul fronte della discontinuità, invece, per ora non sono i fatti a parlare. Il governo aveva sperato in un allentamento, se non subito almeno dopo pasqua. Per ora non se ne parla, anzi, e anche l’atteso abbandono dei dpcm dovrà aspettare un po’. Sul tema i due ministri hanno sentimenti inevitabilmente diversi. Speranza parla poco e, pur senza mai nominarla apertamente esalta, la continuità. «Il ruolo della Protezione civile sarà fondamentale come è sempre stato. La risposta alla pandemia è del sistema Paese». Sulla rimozione di Arcuri, che certo non gli ha fatto piacere, glissa, si limita ai ringraziamenti sentiti per l’ex commissario.

Gelmini è di umore opposto: «Rivendico la discontinuità nei tempi e nei metodi». Il ricorso al dpcm, giura, è dovuto solo al fatto che c’era un decreto in scadenza ma abbiamo cercato di correre il più possibile e di cercare il confronto più ampio possibile». Venerdì, aggiunge, «si svolgerà la prima riunione della Conferenza delle Regioni e delle Province sui vaccini e nel giro di 7-10 giorni arriverà il dl Sostegno con 200 mln per i congedi parentali e interventi per potenziare la Dad».

L’intenzione di scartare almeno parzialmente rispetto al governo precedente è palese, ma la priorità, come sottolinea Speranza, resta la difesa della salute pubblica, né potrebbe essere diversamente. Le conclusioni le tira la stessa Gelmini: «L’intendimento è tenere aperta la scuola ma c’è il problema delle varianti». I conti con il virus non li può evitare nessuno.

Il segnale di discontinuità effettivo va cercato altrove: nell’assenza, almeno per ora, di un’opposizione. Non quella parlamentare che anche ai tempi del governo Conte contava pochissimo ma quella vera, rappresentata sinora dalle Regioni. Lì il clima è cambiato, anche se Speranza e Gelmini negano all’unisono che c’entri qualcosa la presenza nel governo del centrodestra, che controlla buona parte delle Regioni. Qualche tensione nella lunga mattinata che ha preceduto la firma del dpcm da parte di Draghi c’è stata, ma nulla a che vedere con quella altissima che accompagnava in passato ogni nuovo dpcm.

Nel vertice tra ministri competenti che precede l’incontro con i governatori la linea del nuovo responsabile dell’Istruzione Bianchi e dello stesso Draghi, contrari a chiudere le scuole in tutte le Regioni e favorevoli al tetto di 250 casi per 100mila abitanti, passa con qualche esitazione di natura opposta. C’è chi ritiene che bisognerebbe essere più drastici ma anche chi protesta perché prima di chiudere le scuole sarebbe opportuno intervenire con maggior severità sugli assembramenti e sulle altre attività.

I presidenti di Regione, favorevoli all’irrigidimento sulle scuole, protestano però perché la decisione, nelle zone gialle e rosse, è loro compito. Il pugliese Emiliano parla per tutti: «È un onere che spetta al governo». Replica secca: «L’ordinanza è regionale ma quasi automatica». Zaia sospetta che il tetto dei 250 casi «penalizzi chi fa più tamponi». Risposta bruciante: «Non è neppure ipotizzabile che i presidenti limitino i tamponi per evitare le chiusure». Le proteste restano, però sotto tono. Ma è solo l’inizio. Ci vorrà tempo per capire se la pace di Draghi con le Regioni reggerà o si tratta solo di una tregua.