Il Quantitative easing, ovvero la creazione di moneta da parte delle banche centrali per l’acquisto di titoli di Stato ed altri assets finanziari sul mercato secondario, è stato avviato, a marzo del 2015, per dare un po’ di ossigeno all’economia europea.

Nel mirino del «bazooka» di Draghi c’erano, infatti, deflazione e stagnazione, due piaghe che, a quel punto, erano più la conseguenza della gestione della crisi che della crisi stessa.

Ma tant’è: bisognava portare a tutti i costi l’inflazione vicina al 2%, soglia ottimale fissata nello statuto della Bce, e spingere le banche a finanziare gli investimenti produttivi. A distanza di quasi due anni e mezzo, perseverando i governi nazionali nelle loro politiche di austerità, questi obiettivi ancora non sono stati raggiunti. La ripresa è debole, a macchia di leopardo e non “strutturale”, come si dice in gergo, lo stesso Draghi è costretto ad ammettere che le «prospettive di inflazione di medio termine saranno riviste al ribasso».

Nel frattempo, si è messo di traverso anche l’euro, che si è apprezzato del 13% sul dollaro dall’inizio dell’anno (proprio durante la conferenza stampa di Draghi ha toccato 1,20 dollari). Una variabile inattesa, visto che tra gli effetti dell’espansione della base monetaria dovrebbe esserci anche un deprezzamento della valuta, che a sua volta dovrebbe produrre i suoi effetti sull’inflazione (moneta più debole, inflazione più alta).
Inattesa, ma del tutto plausibile, nell’epoca della globalizzazione, dove contano anche le scelte ed i guai degli altri. Ed ora, la preoccupazione principale di Draghi e dei banchieri centrali. Possiamo chiudere il rubinetto del Quantitative easing senza valutare le conseguenze che tale scelta avrebbe sull’euro? Questa è la domanda che si sono fatti a Francoforte, nella riunione del Comitato direttivo della Bce, consci che un avvio del cosiddetto tapering (diminuzione degli acquisti, meno liquidità nel sistema) adesso farebbe da volano alla corsa della moneta unica, con tutto quello che ciò implicherebbe, sia per gli obiettivi inflazionistici del programma, sia per la competitività dei prodotti europei sui mercati internazionali (fine dell’illusione sulla crescita).

Insomma, Draghi appare sempre più in un cul-de-sac: l’inflazione resta bassa e l’euro forte impone di continuare a «stampare» moneta («anche oltre la scadenza», si legge nel comunicato), di mantenere il sistema sotto l’effetto della droga finanziaria, di inchiodare il costo del denaro allo 0,00%. Prendere tempo, insomma, in attesa di vedere come va il mondo. Con buona pace di Schäuble, che, con le elezioni alle porte, si preoccupa del rendimento dei risparmi dei lavoratori e dei pensionati tedeschi, e del presidente della Bundesbank Jens Weidmann, notoriamente critico verso la politica «non convenzionale» della Bce.

Intanto, qualcuno ci guadagna, ma non sono i cittadini. Eh sì, perché se il credito non è ripartito, come avrebbe dovuto, dove è andato a finire il fiume di denaro «iniettato nel sistema»? Una parte, in quanto «liquidità in eccesso», rimane parcheggiata nei forzieri delle banche (1.755 miliardi di euro ad agosto, secondo i dati di Eurotower, un record storico) e della stessa Bce. Un’altra parte si è riversata nei mercati finanziari, oleando la giostra della speculazione, contribuendo a gonfiare il prezzo di titoli di Stato e di società quotate (corporate bond), contratti derivati ed obbligazioni bancarie rientranti nel programma. Cose molto lontane dalla vita quotidiana della stragrande maggioranza dei cittadini europei (davvero il 99%). Beninteso: se il Qe non ci fosse stato, le cose non sarebbero andate meglio, soprattutto per i Paesi più indebitati, a cominciare dall’Italia. Il rischio di speculazione sul debito (impennata dei tassi di interesse) sarebbe stato molto elevato.

Quel che risulta inaccettabile è l’idea che la sola politica monetaria possa tirarci fuori dal pantano in cui ci troviamo. E’ folle che, da un lato, la Bce crei dal nulla (e non è ancora finita) quasi 2 mila miliardi di euro per incanalarli nel sistema bancario e, dall’altro, si continui ad imporre sacrifici agli Stati membri per conseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio. Folle e insostenibile.