In un 2018 che quanto a narrativa americana ha riservato un numero relativamente limitato di sorprese letterarie, è probabilmente uno solo il romanzo, per giunta di esordio, che si è rivelato capace di fare innalzare il livello dell’attenzione. Tuttavia, è possibile che questo sia accaduto per ragioni sbagliate, ed è quindi necessario tentare un’analisi più attenta per comprendere dove stiano i punti di forza, gli elementi di novità, le fertili anomalie che fanno di Asimmetria – opera prima di Lisa Halliday, che arriva ora in Italia grazie a Feltrinelli per l’ottima traduzione di Federica Aceto (pp. 288, euro 17,00) un libro oggettivamente destinato a rimanere, e dell’autrice una voce importante.

Rimandi letterari
Ad assorbire l’attenzione e richiamare l’interesse di molta critica sono stati gli elementi autobiografici che contraddistinguono la prima parte del romanzo, nella quale si racconta la relazione sentimentale tra Alice, venticinque anni, assistente di redazione di una casa editrice e aspirante scrittrice, ed Ezra Blazer, decano della letteratura americana e perenne candidato al Nobel. Quasi ovvio cogliere in Alice l’alter ego neanche troppo mascherato dell’autrice stessa, e nell’anziano scrittore con la passione per le barzellette ebraiche e per donne molto più giovani e con il corpo ormai fragile e cosparso di cicatrici un ritratto in tralice di Philip Roth, con il quale Halliday ha effettivamente avuto una breve «storia» quando lavorava con Andrew Wylie, che è stato l’agente letterario di Roth.

A questo elemento, tra letteratura e gossip, si è affiancata, nelle recensioni più attente, la consapevolezza di un denso reticolo di riferimenti letterari, spesso espliciti, a cominciare dai richiami, pervasivi al punto da poterli considerare «strutturali», a Lewis Carroll e ad Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, per proseguire in un viaggio citazionista che spazia dall’Ottocento di Dickens, Twain e Crane al modernismo letterario di Joyce e Miller, per approdare a Camus e Arendt.

Tutto vero, tanto sul fronte del «pettegolezzo letterario» quanto su quello del citazionismo: tra l’altro, il richiamo a Roth e a una matrice in parte autobiografica della prima parte del romanzo è stato alimentato – evidentemente, con il benestare dell’autrice – fin da quando il libro ha scatenato un’asta tra i principali editori americani e di lì è partito alla conquista dei mercati esteri, trasformandosi in breve tempo in un caso internazionale. Va detto, però – ed è questa la forza di Asimmetria, ciò che porta il romanzo di Halliday ben al di sopra di qualunque compiacimento scandalistico – che, fin dal titolo, questo esordio sorprendente mira a smontare qualunque cliché, a confondere i livelli di lettura, a imporre un avvicinamento differente ai materiali stessi che lo compongono.
L’autobiografismo viene sottoposto a sistematiche operazioni di smontaggio e di velatura, attraverso una narrazione in terza persona piena di reticenze e non detti, centrata su uno sguardo, quello di Alice, carico di ironia e di pietas nei confronti del vecchio maestro e amante, ma volutamente restio a rivolgersi all’interno di sé per registrare e analizzare l’impatto di una storia d’amore così improbabile e a suo modo estrema.

Prevalgono toni da commedia acida, carichi di ironia e sorretti da una lingua tersa e tagliente: basti, a titolo di esempio, il modo in cui Alice analizza la natura dei rapporti sessuali con Ezra: «Certe volte con lui le sembrava di giocare all’Allegro chirurgo: se non stava attenta a evitare di fare contatto estraendogli l’ossicino del mal della vedova rischiava che gli si accendesse il naso e scattasse l’allarme».
Al chiacchiericcio di Ezra, infaticabile collezionista di barzellette e citazioni musicali e letterarie, si contrappone dunque il silenzio di Alice su se stessa, sulle proprie origini, sulla propria concezione del mondo. Una sola cosa, di lei, ci viene comunicata con assoluta certezza, e non una sola volta: la sua aspirazione è arrivare, prima o poi, a scrivere un romanzo, e il dilemma nel quale si dibatte nelle pagine finali della prima parte di Asimmetria è quale pillola scegliere fra due che le si offrono: «diventare una scrittrice» destinata a vivere in Europa o «tenere Ezra in vita e innamorato finché lei non fosse morta». Per questo, quando il romanzo vira bruscamente verso una seconda parte completamente diversa, narrata in prima persona da Amar, iracheno-americano in viaggio verso il Kurdistan in cerca del fratello medico e bloccato all’aeroporto di Londra in una situazione vagamente kafkiana, viene istantaneo il sospetto di trovarsi di fronte al libro che Alice ha sempre sognato di scrivere.

Sospetto confermato, in un certo senso, nella terza e conclusiva parte di Asimmetria: una sorta di epilogo sotto forma di intervista radiofonica a Ezra, il quale, a pochissime pagine dalla conclusione del libro, parlando dello scontro tra la potenza militare americana e la «pazzia» di un mondo «dall’altra parte dell’oceano» che la subuisce agendo così da specchio distorto, dichiara: «Una mia giovane amica ha scritto un breve romanzo alquanto sorprendente, a suo modo, proprio su questo tema. Sulla misura in cui riusciamo a penetrare oltre lo specchio e immaginare una vita, anzi una coscienza, che riesca in qualche modo a ridurre i punti ciechi della nostra esistenza. È un romanzo che in superficie sembra non avere niente a che fare con l’autrice, ma in realtà è una specie di velato ritratto di una persona che fa di tutto per superare le proprie origini, il privilegio, l’ingenuità».

Il rischio narrativo
«Pazzia» si intitola la seconda parte del romanzo di Halliday, dal termine che Ezra usa per sintetizzare lo scontro e il gioco di rispecchiamenti tra la superpotenza americana e il carnaio iracheno. Tutto sembra dunque tornare, in una chiave di «romanzo nel romanzo» che ha i suoi modelli potenziali in Nabokov, Beckett o, per spostarsi in tempi più recenti, in Auster. Con una differenza essenziale: Halliday mette in scena, grazie a una padronanza ammirevole dei suoi mezzi, il rischio estremo che presiede a ogni invenzione narrativa, lasciando che una voce femminile e americana scelga di reincarnarsi nel protagonista maschile e per metà iracheno, un uomo con due passaporti e senza una vera patria che, bloccato all’aeroporto di Londra in attesa di un visto d’ingresso che gli sarà negato, riflette sul proprio passato e si mette a nudo con una spudoratezza opposta e complementare alla reticenza di Alice.

Una scelta politicamente scorretta, se si vuol prestare fede a quanto Stephen Crane – espressamente citato nella seconda parte di Asimmetria – scrisse in un suo saggio sul Messico: «Si potrebbe forse osare dire che la più ignobile forma di letteratura del mondo è quella scritta dagli uomini di una nazione riguardo gli uomini di un’altra nazione». Ma una scelta necessaria e preziosa, se, sempre citando Crane, si guardi allo scrittore come «una poderosa memoria, in grado di spostarsi attraverso certe esperienze a suo piacimento, obliquamente».