Cyber intelligence, controllo elettronico, spyware e molto altro. Sono le armi del terzo millennio in possesso delle forze occupanti israeliane per sorvegliare, seguire e sapere quanto è più possibile della vita e degli spostamenti di ogni singolo palestinese. E ogni giorno se ne conosce una nuova in più. Proprio nelle ore in cui si parla dei sei attivisti e difensori dei diritti umani palestinesi sorvegliati per mesi dallo spyware israeliano Pegasus installato nei loro telefoni, un’inchiesta del Washington Post, svolta in collaborazione con Breaking the Silence, una ong di veterani israeliani, ha portato alla luce un progetto delle forze armate dello Stato ebraico per comporre un database di sorveglianza digitale dei palestinesi, in particolare quelli di Hebron, che chiede ai soldati di scattare foto con i cellulari, anche ai bambini.

Questo piano di riconoscimento facciale, ha scritto il quotidiano statunitense, è partito due anni fa e si basa in parte su una tecnologia per smartphone chiamata Blue Wolf: è una app che fotografa i residenti di Hebron. In questo modo migliaia di palestinesi sono già stati inseriti nel database. Collegato al database, Blue Wolf indica se un palestinese può passare o essere interrogato. Alcuni ex soldati, senza rivelare la loro identità, hanno riferito di essere stati incentivati ​​a scattare un gran numero di foto in cambio di premi e ricompense e di essere stati impegnati in una sorta di gara a chi catturava il maggior numero di volti di palestinesi. L’esercito ha anche installato telecamere a scansione facciale ai checkpoint di Hebron per consentire ai soldati di identificare i palestinesi prima ancora che presentino le loro carte d’identità.

Il sistema si integra con una rete più ampia di telecamere a circuito chiuso nota come Hebron Smart City che, secondo una testimonianza, rintraccia i palestinesi anche nelle loro case. Il database è un «Facebook per i palestinesi», ha ironizzato uno dei militari intervistati. «Non mi sentirei a mio agio se lo usassero nel centro commerciale (della mia città natale), mettiamola così…Le persone si preoccupano delle impronte digitali ma questo è qualcosa di più grande», ha detto un altro soldato impiegato in un’unità di intelligence aggiungendo di aver deciso di parlare perché si tratta di «una totale violazione della privacy di un intero popolo». La rete di sorveglianza include anche White Wolf, un’applicazione utilizzata da agenti della sicurezza negli insediamenti ebraici in Cisgiordania per ottenere informazioni sui palestinesi prima che entrino nelle colonie per lavorare.

Le forze armate israeliane non hanno smentito l’esistenza del programma di sorveglianza ma lo hanno descritto, come spesso avviene in questi casi, come «un’operazione di sicurezza di routine» e «parte della lotta contro il terrorismo e degli sforzi per migliorare la qualità della vita della popolazione palestinese». Non di rado le autorità militari israeliane descrivono metodi e tecnologie, che non sarebbero tollerate nei paesi democratici, come «miglioramenti» a vantaggio dei palestinesi. A loro dire renderebbero più rapide le operazioni di identificazione ai posti di blocco favorendo il transito di migliaia di persone in tempi inferiori rispetto al controllo manuale. Ma tacciono sull’aspetto centrale della sorveglianza capillare di ogni individuo nei Territori occupati. L’Unione europea ha proposto una legge per limitare l’uso da parte della polizia di tale tecnologia che è stata vietata in diverse città degli Stati uniti, tra cui San Francisco e Boston. Google, Microsoft e Amazon affermano che fermeranno o ridurranno le vendite dei sistemi di riconoscimento facciale. Nel marzo dello scorso anno Microsoft ha ritirato il suo investimento dalla società AnyVision poiché l’esercito israeliano aveva installato i suoi scanner facciali ai valichi dove i palestinesi entrano dalla Cisgiordania.