Dopo l’Orso d’oro, Rasoulof deve tornare in prigione
Cinema Il regista iraniano di «There is no evil» ha ricevuto l’ordine di carcerazione: un anno di prigionee due senza girare film
Cinema Il regista iraniano di «There is no evil» ha ricevuto l’ordine di carcerazione: un anno di prigionee due senza girare film
Mohammad Rasoulof andrà in prigione. Non è passata neppure una settimana dalla serata finale della Berlinale che ha visto il trionfo – con standing ovation dell’intera sala – del suo There is No Evil, che il regista iraniano ha ricevuto l’ordine di carcerazione. La condanna – un anno di detenzione e due anni senza girare film – riguarda il suo precedente A Man of Integrity (2017), accusato dal regime di Tehran di «propaganda contro il sistema». Rasoulof però, secondo quanto ha dichiarato il suo avvocato, ha intenzione di opporsi a questa decisione a causa dell’epidemia di Coronavirus che in questi giorni sta dilagando anche in Iran, e che ha costretto il governo a liberare almeno 54000 detenuti per evitare la diffusione del contagio attraverso il sistema penale.
PREMIATO con l’Orso d’oro There is No Evil – che in Italia sarà distribuito da Satine – intreccia quattro storie intorno alla pena di morte interrogando il senso di responsabilità e le scelte di ciascuno in un sistema autoritario. Come suggerisce il titolo «Il male non esiste», esistono le nostre azioni, i nostri gesti, le decisioni di opporsi o di accettare facendo finta di nulla. Alla Berlinale la sedia del regista è rimasta vuota, e sul palco insieme al cast e alla troupe del film è salito solo «virtualmente» collegato al telefono di sua figlia, Baran, anche tra le interpreti, che ha ritirato l’Orso.
Rasoulof era stato messo sotto processo insieme a Jafari Panahi già nel 2011, entrambi erano stati condannati a sei anni di carcere (che a Rasoulof sono stati ridotti in appello a uno), a non girare più nulla nei successivi vent’anni, a non lasciare l’Iran per «propaganda contro il sistema». I due registi stavano lavorando al progetto di un film sull’«Onda verde», il movimento di protesta che aveva attraversato il Paese chiedendo un rinnovamento politico a cominciare da un nuovo presidente al posto di Ahmadinejad.
DA ALLORA Panahi non ha più lasciato il Paese – pur sfidando la censura con nuovi film presentati nei festival di tutto il mondo. Rasoulof viene invitato a Cannes con Goodbye – che vince un premio – ma non può andarci. Due anni dopo partecipa a un festival dei diritti umani in Germania, e al suo rientro le autorità iraniane gli confiscano il passaporto in aeroporto. «Quando ti opponi al potere che responsabilità ti assumi? – diceva il regista alla Berlinale nell’incontro stampa via Skype – E quale prezzo devi pagare? Nel mio caso posso dire che sto resistendo, sono stato privato di molto ma sono felice della mia scelta. Anzi penso che i risultati di questa resistenza siano positivi, mi danno maggiore energia per continuare a oppormi all’assurdo sistema di censura in cui viviamo».
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