Il coronavirus è riuscito a cambiare le carte anche sul tavolo delle regionali marchigiane in programma a settembre. Agli esordi della pandemia, dopo una settimana di guerra a colpi di ordinanze e ricorsi al Tar con il governo, il presidente Luca Ceriscioli, già inviso ai vertici nazionali del Pd, aveva annunciato che non si sarebbe ricandidato. Cento giorni dopo, «il Cè» sembra averci ripensato: «Sono a disposizione», ha detto chiaro e tondo, gettando nel panico il suo partito e offrendo agli alleati materia consistente per riaprire delle trattative in realtà mai chiuse davvero, anche perché in mezzo c’è stato il virus. L’ultima riunione tra i coalizzati del centrosinistra, lunedì sera, è finita con un nulla di fatto e l’impegno di arrivare a una soluzione entro sette giorni.

Il segretario dem Giovanni Gostoli ha ribadito che, per quanto lo riguarda, la discussione non avrebbe motivo di esistere e che il candidato già c’è (il sindaco di Senigallia Maurizio Mangialardi), ma gli altri adesso prendono tempo: Italia Viva, Mdp, + Europa, socialisti e civici scommettono sul caos interno al Pd per ribaltare il fronte e, in questo senso, il ritorno di Ceriscioli cade a fagiolo, anche se non sarà per nulla facile arrivare a un punto, non tanto perché, come si dice, Mangialardi ha già pronti i manifesti elettorali, quanto perché tra i dem quasi tutti si sono già riposizionati.

A supporto del controribaltone, comunque, c’è anche un sondaggio che circola nel centrodestra: se a febbraio il centrosinistra di Ceriscioli veniva dato 12 punti indietro, adesso sarebbe addirittura avanti del 4%. Sarà vero? Non pochi pensano che questi numeri non siano tanto una lettura della realtà quanto un momento cruciale della guerra tra Fratelli d’Italia e Lega. Il candidato Francesco Acquaroli (Fdi), infatti, non è mai stato formalmente accettato dagli uomini di Matteo Salvini e sullo sfondo si agita sempre lo spettro dell’ex sindaco di Ascoli Guido Castelli (Fdi anche lui ma gradito ai leghisti), che pure un pensierino alla presidenza della regione continua a farlo.

Nel centrosinistra, oltre alla questione interna, gli imbarazzi della destra sono noti ed è per questo che tutti – sia i contrari al Ceriscioli bis sia i favorevoli – lavorano ai fianchi il Movimento 5 Stelle per convincerlo a ritirare la sua candidatura e a coalizzarsi: tutti i sondaggi più o meno clandestini, d’altra parte, danno un’ipotetica coalizione giallorossa ampiamente in vantaggio. Il problema, va da sé, sarebbe il nome del presidente, e qui potrebbe rispuntare l’ex rettore dell’Università di Ancona Sauro Longhi, vicino ai 5S ma con diversi fan anche nel Pd.

Intanto, senza interessarsi ai destini di Ceriscioli, prosegue la corsa di «Dipende da noi», la lista «di impegno civile» promossa dalla sinistra sotto la guida del filosofo Roberto Mancini, capace di catalizzare intorno a sé non solo i partiti ma anche grandi pezzi del microuniverso marchigiano dell’associazionismo e della cultura.