Il 15% degli elettori della Linke nelle braccia di Pegida, l’Spd d’accordo sui limiti al movimento dei profughi, Angela Merkel in guerra contro «illegali e clandestini». Tre istantanee dopo il massacro di Parigi restituiscono la fotografia della Bundesrepublik in balìa degli estremisti. E segnalano che la Germania si unisce ma a destra e la Grande coalizione si ricompatta però solo grazie a check point, difesa delle frontiere europee e «supporto» degli Usa in Afghanistan.

Reazione, in tutti i sensi: passa per i 5 nuovi centri «speciali» per migranti (di cui due subito a Bamberga e Manching) progettati dal governo e la chiusura della politica della porta aperta fin qui perseguita. Di fatto è la risposta agli attacchi Isis basata sul controllo di chi da loro fugge; anche la socialdemocrazia in formato ridotto spinta al limite di leggi federali e convenzioni internazionali. Diritti recintati in nome dell’emergenza «per garantire la sicurezza» a dimostrazione che dietro al «Wir schaffen das» (possiamo farcela) della cancelliera c’è un muro.
Solido almeno quanto quello sulla rotta della sinistra. Qui deflagra il sondaggio Ard che registra il pezzo consistente di elettorato Linke in marcia verso le posizioni xenofobe dei patrioti europei contro l’«islamizzazione dell’occidente» (Pegida). Il 16 novembre a Dresda sono scesi in piazza ricordando ancora una volta a Berlino il loro temibile «malumore». Un quadro inquietante quanto lo slogan di «passare al fare» di Björn Hocke, leader in Turingia di Alternative für Deutschland, terza forza politica nei sondaggi post-Parigi secondo Bild. Un problema politico non secondario per la sinistra, al pari dell’autorevole dissidenza al “buonismo” della nuova direzione Linke da parte di Oskar Lafontaine: dalla Saar l’ex presidente chiede di «limitare l’afflusso di rifugiati per il ricongiungimento familiare» in netto contrasto con la linea seguita dai due leader del partito Katjia Kipping e Bernd Riexinger.

Per la maggioranza al Bundestag invece la soluzione – politica e provvisoria – è il “patto” sui migranti tra Cdu, Spd e Csu chiuso all’inizio di novembre dopo un mese di litigi e rivendicato come vittoria da Merkel, dal leader Spd Gabriel e dal capo della Csu Seehofer. Nessuna vera e propria prigione come chiedevano i socialdemocratici, zero libertà di circolazione per volontà dei democristiani, niente ventre molle alla frontiera meridionale secondo il diktat dei bavaresi.

Misure di pronto impiego in attesa della riforma della legge sull’asilo, necessarie per contrastare la «valanga» di profughi in arrivo. Dice proprio così il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble sempre poco allineato al corso ufficiale: «I rifugiati sono una valanga sull’orlo del precipizio o già arrivata a valle». Parole incendiarie per il governo e uscita a gamba tesa come quella del ministro dell’interno Thomas de Mazière sulla limitazione del ricongiungimento anche per le famiglie siriane. Posizioni personali «non concordate» tengono a precisare gli alleati di governo, comunque sintomatica del fuoco amico sul fronte conservatore. Per questo si accelera la costruzione dei «centri di accoglienza speciali» che dovrebbero velocizzare le accoglienze e soprattutto i respingimenti e si aggiorna la procedura anche sul fronte burocratico con il divieto di reingresso e di reitero delle domande per chi non è supportato da documenti di identità validi.
Difficile da applicare per chi arriva dall’Afghanistan, terzo Paese di provenienza dei profughi in Germania dopo Siria e Albania e ben prima dell’Iraq. Da qui la collaborazione attiva con gli Usa per «stabilizzare il Paese» con il prolungamento della missione della Bundeswehr fino al 2016, previsto nell’accordo rosso-nero.

Intanto gli uffici federali certificano il numero «aggiornato» dei rifugiati registrati (758.000) mentre rimbalza la stima di un milione e mezzo di persone. Dati pericolosi a sentire il ministro dell’interno preoccupato che la diffusione di numeri si trasformi in un «invito supplementare a venire in Germania». Insomma è «l’inizio di nuova era», conferma il ministro delle finanze bavarese Markus Söder, perché «Parigi ha cambiato davvero tutto».