Stavolta la coreografia conta quanto la sostanza, forse di più. Il cdm di ieri era necessario per prorogare di 10 giorni l’obbligo delle mascherine all’aperto ma l’intenzione di rendere plasticamente il segno della ripartenza è palese e la necessità inusuale di riunire il governo di lunedì, subito dopo la rielezione di Mattarella, si presta all’occorrenza. Al resto ci pensa Draghi. In apertura di riunione fa il giro del tavolo e stringe la mano ai ministri uno per uno. Non c’è bisogno di parole per chiarire il significato di un gesto mai fatto prima: soddisfazione per essere ancora in squadra e in sella, accento sulla necessità di premere l’acceleratore a tavoletta dopo il rallentamento degli ultimi mesi. A frenare, secondo la versione ufficiosa, è stata la mediazione con i partiti. Sul particolare per cui quella necessità derivava dall’obiettivo quirinalizio del premier si preferisce glissare.

POI DRAGHI SI RIVOLGE ai ministri, chiede l’applauso scrosciante per il nuovo-vecchio presidente, lo ringrazia e conferma che gli obiettivi del Colle e quelli di Chigi coincidono alla perfezione: lotta alla pandemia, ripresa dell’economia. Su questo fronte il premier non nasconde orgoglio e soddisfazione per il dato sulla crescita del 6,5%, risultato brillante e che è sì prodotto della ripresa globale ma «anche delle misure messe in campo dal governo». Non che ci si possa fermare a scambiarsi vicendevoli complimenti però. Il 30 giugno dovrebbe arrivare la seconda rata del Pnrr, 24,1 miliardi. Quella già erogata, di uguale consistenza, è oggetto di verifica a Bruxelles. Per il via libera alla nuova rata bisognerà certificare il conseguimento di 45 obiettivi, i quali però saranno anche decisivi per il verdetto sulla prima tranche. In cinque mesi ci si gioca tutto. Dunque il premier distribuisce i compiti a casa. Per il prossimo cdm, domani, tutti dovranno portare il rendiconto sullo stato degli investimenti e delle riforme di loro competenza.

MA SCENOGRAFIA e fiducioso ottimismo a parte, qual è lo stato di salute del governo che ha ripreso ieri la sua marcia? La settimana di fuoco a Montecitorio ha modificato profondamente il quadro e gli equilibri. Delle due coalizioni in campo una è esplosa: il centrodestra non c’è più e i centristi parlano apertamente della necessità di ricucire con la Lega ma non con FdI, perché gli interessi strategici sono ormai troppo divaricati. L’altra, il «campo largo» di Letta, regge sì ma tenuta insieme con lo spago, perché tra il segretario del Pd e il leader traballante dei 5S regnano diffidenza e sospettosità, e perché Conte vive con crescente fastidio la permanenza nella maggioranza.

Salvini, il leader che prima della rielezione di Sergio Mattarella veniva considerato in direzione d’uscita, dovrà ora muoversi con il freno a mano tirato. Esce indebolito da una pessima prova: il partito draghiano composto dal ministro Giancarlo Giorgetti e dai governatori del nord non gli permetterebbe facilmente colpi di testa dei quali, con una legge elettorale proporzionale, avrebbe minor bisogno. La tentazione di uscire dal governo è conseguenza di un testa a testa con l’amica-nemica Giorgia Meloni che col proporzionale verrebbe risolto da solo. Anche se con consensi maggiori nel carniere, la leader di FdI si troverebbe comunque in condizioni di isolamento e difficoltà tali da non poter ambire alla guida del governo.

NELL’INCONTRO con Draghi Salvini farà un po’ di chiasso, reclamerà «un diverso atteggiamento degli alleati nei confronti della Lega», formula dal significato misterioso, insisterà sulla necessità di un nuovo scostamento di bilancio per fronteggiare il rincaro energetico. Quella però non è solo scena: trattasi della vera difficoltà impervia e inattesa che Draghi dovrà affrontare subito.

Anche Conte chiederà misure drastiche contro i rincari. Per lui però il proporzionale renderebbe lo sganciamento dalla maggioranza da cui è tentato meno impossibile. Il prezzo sarebbe la rottura dell’alleanza con il Pd prima del voto. Esorbitante con l’attuale sistema elettorale. Forse tollerabile, nella speranza di fare il pieno di voti, con il proporzionale.