Ineffabile lui, imperturbati i suoi leghisti. La linea che Salvini ha deciso di adottare dopo la disfatta del Colle è semplice: far finta di niente. Come se il disastro della candidatura Casellati non ci fosse mai stato. Come se la riconversione in extremis su Mattarella fosse nell’ordine delle cose. Soprattutto come se la coalizione di cui era leader, il centrodestra, ancora esistesse o fosse tutt’al più offuscata da un’ombra passeggera: «Lo si ricostruisce. Non rispondo alle critiche né da destra né da sinistra e lavoro per unire». Che nessuno possa mai accusarlo di aver voluto lui la rottura. Toni un po’ più accesi solo quando chiede ai dirigenti di evitare critiche in privato: «Chi ha qualcosa da dire lo dica in pubblico e se trovo chi ha parlato in quel modo col Riformista lo caccio». Nessuno, pare, ha niente da dire.

Dell’incontro con Berlusconi ad Arcore, Salvini racconta solo quanto gli abbia fatto piacere «riabbracciare un amico che ha passato momenti difficili». Della disfatta della settimana scorsa a Montecitorio si parla solo per elogiare la compattezza della Lega e scagliare strali contro i centristi felloni e franchi tiratori: «Se il centrodestra non ha prevalso è solo perché ne è mancato un pezzo». Non è vero. La presidente del Senato sarebbe stata affondata anche senza un solo cecchino e Salvini lo sa benissimo.

Quel che il leader della Lega non sembra sapere, invece, è dove andare e come muoversi. Propone una improbabile federazione in stile Partito repubblicano e allo stesso tempo accusa i centristi di tradimento e passa alla rappresaglia in Liguria bersagliando Toti: «Governatore e anche assessore alla Sanità? Si vede che è Superman». Assicura di voler tenere le porte spalancate per l’ormai ex alleata Giorgia e intanto lascia che i capigruppo leghisti Molinari e Romeo alludano ai fratelli tricolori come a «estremisti legati a ideologie sconfitte dalla storia». Attento a salvaguardare l’immagine unitaria molto più che non a ricostruire l’unità. Potrebbe trattarsi del prologo a una svolta centrista, alla decisione di scegliere tra la passione comiziante e la presenza al governo. Però non sembra che sia così. Prima Bagnai, poi lo stesso Salvini aprono il fuoco sul ministro Franco, dopo le voci secondo cui potrebbe essere sostituito l’ad di Monte Paschi Bastianini: «Franco chiarisca. È davvero in discussione un manager che ha dimostrato che Mps può camminare?».

La lista di richieste che presenterà a Draghi, perché figurarsi se nell’incontro imminente si parlerà di bazzecole come la legge elettorale, ricalca proprio il modello del partito di lotta e di governo che pure non si può dire che abbia pagato sinora: no alla riforma del catasto, no a nuove restrizioni, no alle distinzioni tra vaccinati e non nelle scuole, intervento drastico contro l’aumento delle bollette, impegno contro l’immigrazione. Il Consiglio federale si spella le mani e approva all’unanimità. Un po’ sono richieste furbesche, perché Salvini sa benissimo che di nuove restrizioni non ce ne saranno comunque, salvo aggravarsi della situazione sanitaria. Un po’ è repertorio. Un paio di temi, il catasto e le bollette, sono invece reali. Il primo potrebbe veicolare nuove tensioni. Il secondo vedrà l’intera maggioranza schierata a favore di un nuovo scostamento di bilancio per calmierare i rincari.

Nei rapporti con il governo il leader della Lega, immobile come un pugile dopo le sberle, può provare a continuare come prima. Con la coalizione no. Berlusconi boccia la federazione: «L’ho proposta per primo ma non con una fusione a freddo». Il formicaio impazzito centrista cerca casa e guarda a Renzi. Fi punta a una riconciliazione rapida con fratel Matteo ma di sorella Giorgia per ora non vuol sentir parlare. Lei s’indigna per la «folle» scelta di votare Mattarella nonostante le decisioni prese, dimenticando le ginocchiate che ha dispensato nella settimana di fuoco con la candidatura Crosetto e glissando sulla responsabilità di aver imposto una linea, quella del «candidato di destra», forse utile a lei ma suicida per gli altri. Il proporzionale, più che una scelta, si configura come un obbligo. A questo mira il Salvini che fa finta di niente.