Fare solo il presidente di Confindustria non gli basta più. Ma alla fine a fermare le mire espansionistiche pallonare di Carlo Bonomi potrebbe essere il quasi senatore Claudio Lotito.
Se così fosse il desolante quadro del calcio italiano sarebbe il seguente: la candidatura dell’attuale presidente della Confindustria alla Lega serie A (la vecchia Lega Calcio) verrebbe bloccata dal presidente della Lazio, senatore della repubblica in quota Forza Italia. Senza dimenticare che nei giorni scorsi per lo stesso incarico erano circolati i nomi dell’ex vicepresidente del consiglio Walter Veltroni e dell’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni.
Pallone dunque specchio del paese e della sua politica.
La votazione per il successore del dimissionario Paolo Dal Pino – scappato dopo essere finito triturato nelle ataviche guerre intestine tra i proprietari dei club di serie A – avverrà questa mattina alle 11,30 in seconda convocazione nella sede di via Rossellini a Milano.
A proporre a sorpresa Carlo Bonomi è stato un altro personaggio a lungo protagonista del mondo industriale: l’ex amministratore delegato dell’Eni Paolo Scaroni da qualche anno riciclatosi come presidente del Milan versione americana post Berlusconi (senza dimenticare la parentesi cinese di Yonghong Li).
Il ragionamento di Scaroni non fa una piega: per sbloccare l’impasse e contrattare con il governo i ristori necessari a salvare i club dalla bancarotta post Covid chi meglio del presidente di Confindustria che con il governo Draghi e la maggioranza di governo ha ottimi rapporti? In più Bonomi non ha neanche un’azienda grande e dunque ha tanto tempo libero da dedicare all’attività di lobby.
Convinti i tre grandi club che comandano a via Rosellini a Milano – Juventus, Milan e Inter – pare che Bonomi abbia contattato personalmente buona parte dei presidenti per autoproporsi come salvatore del pallone nostrano.
Sebbene non siano più in Confindustria dai tempi della rivoluzione di Pomigliano, per gli Agnelli che detengono ancora la Juve dire di no all’elezione del numero uno degli imprenditori italiani a capo della serie A è impossibile. Ma il fronte dei contrari esiste ed è guidato appunto dalla Lazio di Lotito e dal Napoli di De Laurentiis.
Andrea Agnelli voleva la Superlega e ha guidato il «no» a Dal Pino sull’apertura ai fondi per democratizzare la Lega calcio. Così contro la nomina di Bonomi ci sarebbe anche il gruppo delle proprietà americane – Roma, Fiorentina, Bologna, Genoa, Spezia – che voleva gestire la successione scegliendo un manager tra una lista selezionata da advisor, valutati tramite colloquio.
Sembra dunque difficile che questa mattina in assemblea Bonomi possa raccogliere attorno a sè i 14 voti necessari: dalla prossima riunione, tuttavia, il quorum scenderà a undici e la partita potrebbe cambiare radicalmente volto.
Di ostacoli Bonomi ne ha nache interni a Confindustria. Molti imprenditori sarebbero contrari al doppio ruolo e potrebbero usare contro di lui il finora inutilizzato Codice Etico della stessa Confindustria. Il testo non lascerebbe dubbi: «Gli imprenditori che rivestono incarichi associativi si impegnano a: mantenere un comportamento ispirato ad autonomia, integrità, lealtà e responsabilità nei confronti del sistema, degli associati e delle istituzioni, evitando di assumere incarichi, di natura politica o in associazioni esterne, che possano generare conflitti di interesse». La Lega serie A evidentemente fa parte delle «associazioni esterne» e Bonomi non la potrebbe guidare.
Tanto che le dimissioni sono esplicitamente previste: «Sulla base di questi presupposti, gli stessi imprenditori che rivestono incarichi associativi si impegnano a rimettere il proprio mandato, o autosospendersi, in caso di situazioni di incompatibilità o di azioni lesive per il sistema, nelle differenti articolazioni, e per la sua immagine».
Ma – e questo sarebbe realmente un colpo di scena – c’è chi non esclude che Bonomi possa preferire la Lega serie A a Confindustria, dimettendosi da capo degli industriali se eletto al primo turno.
Una scelta che confermerebbe l’egotismo di un personaggio che in due anni di mandato – altri due ne avrebbe da completare – si è distinto per una siderale distanza fra gli annunci di «rivoluzione» e la realtà di grigia gestione in continuità della decadente imprenditoria italiana.