Secondo gli stilisti, le donne sono stanche dell’immagine che la stessa moda le ha cucito addosso negli ultimi decenni. Il loro lavoro, infatti, è tutto orientato alla costruzione di elementi nuovi del guardaroba che facciano dimenticare quelli vecchi anche se, in realtà, li citano anche quando le forme e i volumi sembrano staccarsi dal passato.
Non è ben chiaro da dove gli stilisti prendano questa convinzione, ma il dato di fatto è che lavorano in quella direzione, come si è visto nelle sfilate per la primavera/estate 2016 appena concluse a Milano. Sarà che loro, prima di altri, si sono accorti di quanto le donne siano ormai indifferenti ai rappel à l’ordre di alcune retroguardie sociali, mentre dimostrano sempre più insofferenza per le lungaggini burocratiche e le ideologie punitive che bloccano i cambiamenti sociali. Deve essere questo che ha convinto una come Miuccia Prada a distruggere per sempre, e senza possibilità di remissione, quel capo simbolo dell’abbigliamento della donna borghese che è il tailleur.

Nella collezione di Prada, gonna e giacca non si riconoscono più per le forme a cui siamo abituati ma acquistano una valenza di trasformazione che agisce addirittura sulla morfologia del corpo, portandolo a una gestualità più dinamica e a una percezione più protagonista. Come se Prada sostenesse che la donna ha diritto a più spazio e a un’attenzione maggiore da parte di tutti. Il che è drammaticamente vero: tra le preoccupazioni politiche attuali, le prerogative che riguardano le donne non hanno alcuna priorità. Un’operazione analoga e contraria a Prada la compie Donatella Versace che ripulisce del tutto quell’immagine da perenne red carpet della sua moda e riporta alla quotidianità una donna in giacca e shorts che si prepara ad affrontare il mondo metropolitano urbano come se fosse una giungla in cui difendersi da mille attacchi.

Che, a pensarci, sono reali e purtroppo frequenti. Anche gli stilisti di qualche generazione più giovane, per esempio Alessandro Michele per Gucci, Alessandro Dell’Acqua per N.21, Rodolfo Paglialunga per Jil Sander, Massimiliano Giornetti per Ferragamo, Massimo Giorgetti per Pucci, hanno preparato collezioni adatte di più per l’uso quotidiano, quasi a rovesciare il concetto che ci si veste bene solo per le occasioni speciali (sentimento borghese, anche questo, da abbattere).

La moda, e questa nuova immagine di donna che ne deriva, quindi, appare sì più sofisticata ma anche più facile da portare. Il che è un ritorno allo spirito vero del prêt-à-porter. Purtroppo, questa moda un po’ più giornaliera ha fatto scrivere ad alcuni commentatori che non esiste più il glamour, come se il glamour – che è un concetto che riguarda l’attitudine e non l’abito – fosse tutto e solo contenuto negli abiti da sera e non si potesse annidare in un paio di jeans o in una camicia bianca. Risiede in questa ignoranza del linguaggio tutto il problema della moda attuale, che elabora un nuovo che soprattutto il mondo di riferimento non sa leggere.
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