Nel percorso attraverso le forme del teatro musicale il compositore Marco Tutino ha sviluppato una sotterranea vena siciliana, che a partire dalla Lupa (1990) arriva fino al Berretto a Sonagli, creato al Teatro Massimo Bellini di Catania nei giorni scorsi, passando per Federico II ( 1991) e Senso (2010). Nel dittico che il Massimo catanese ha portato sulla scena dal 1 al 9 marzo, si specchiano i due titoli estremi, mettendo a confronto due figure femminili dai caratteri forti, diversi quanto legati da segrete correlazioni drammaturgiche, e due diverse fasi compositive dell’autore. Se La Lupa – creata a Livorno sotto l’egida mascagnana- nasce come riaffermazione personale, pur mediata, di un gesto compositivo ancorato alla tradizione musicale dell’opera italiana, specie alle radici di matrice verista, il Berretto a sonagli, con cui Tutino ritorna all’opera dopo Falscher Verrat del 2017, mostra una fase più compiuta della sua parabola.

I DUE TITOLI trovano unità nello spettacolo di Davide Livermore, calibrato e regolare, senza bisogno di trovate o affastellamenti di effetti e movimenti. Il regista firma anche le scene, con Eleonora Peronetti, mentre i costumi sono di Mariana Fracasso, ma si avvale delle scenografie digitali di DWok per creare con bell’effetto gli spazi metropolitani, il garage, la città con le sue luci e il tram, clima richiesto dalla trasposizione della Lupa negli anni ’60 prevista dalla scabra riduzione di Giuseppe Di Leva, e il calmo, lussuoso interno borghese inizio novecento del Berretto a Sonagli. Sono due mondi sonori a confronto: nella Lupa si pone in modo diretto e articolato il problema del rapporto con l’opera verista e del primo Novecento, stante anche l’interesse mostrato per la Lupa da Puccini.Riferimenti al passato, da Puccini a Stravinskij, sono letti in rapide filigrane

Viene risolto in una scrittura cupa, non aliena dai gesti del minimalismo in cui l’incedere a ondate – interrotte a sorpresa dal montaggio di un inserto radiofonico, la canzone Nun è peccato, integrato nella drammaturgia musicale – a sostenere una vocalità molto tesa, temperata appena nelle ultime scene, prima dell’epilogo tragico, capovolto peraltro da Livermore con la morte di Nanni Lasca. Nel Berretto a Sonagli la struttura torna a proporre due sezioni in scene divise da un intermezzo, con tanto di arie dei protagonisti, Beatrice Florica e Ciampa, ma colpisce la mobilità liquida di un linguaggio strumentale fuso con la vocalità, in una felice adesione al testo sospeso fra commedia e dramma del libretto pirandelliano di Fabio Ceresa.

ECCO CHE i riferimenti al passato, da Puccini a Stravinskij alla Francia, specie di Poulenc, sono letti in rapide filigrane e lustri rebrodè. Orchestra tenuta salda da Fabrizio Maria Carminati, ottima la distribuzione in cui spiccavano Nino Surgulaze, sensuale Lupa e Assunta spigolosa, Irina Lungu, perfetta anche nella resa attoriale di Beatrice Fiorica quanto nella lirica parte di Mara, Sergio Escobar, acceso Nanni Lasca e Alberto Gazale, autorevole come Ciampa, una sorta di sprezzante Scarpia in sedicesimo.