Regina della disco? Definizione riduttiva. Diva dei ’70? Celebrativa e poco calzante. In realtà riassumere carriera e vita privata dell’artista di Boston scomparsa prematuramente nel 2012, non è semplice. A cimentarsi nell’impresa Andrea Angeli Bufalini e Giovanni Savastano – già autori di due poderose monografie sulla disco music – che pubblicano oggi per la rinata Coniglio Editore Donna Summer La voce arcobaleno. Da disco queen a icona pop, con la prefazione di Pete Bellotte, produttore, insieme a Giorgio Moroder, del periodo disco della cantante. Non una semplice biografia ma un volume dove trovano spazio interviste esclusive degli autori alla cantante e ad altri personaggi a lei vicini, dove sullo sfondo viene ben delineato il contesto storico dell’epoca. 256 pagine che scorrono velocemente insieme a un ricchissimo package fotografico, 500 immagini, con molto materiale inedito.

E se in America sono diversi i libri incentrati sulla sua figura, a partire dall’autobiografia Ordinary girl (2003) scritta da Donna a quattro mani con Marc Eliot e al coevo e discutibile Her life and music di Josiah Howard, questo è il primo libro europeo dedicato a un’artista che negli anni del suo massimo successo è arrivata a vendere oltre cento milioni di dischi. «Sì, crediamo proprio di essere i primi – spiegano gli autori – anche se è un progetto che ha radici lontane. Prima della morte di Donna ne avevamo parlato anche con lei, spiegandole che non sarebbe stato un libro che spiava il personaggio dal buco della serratura. Poi abbiamo contattato molti personaggi vicini a lei, e utilizzato diverse interviste che aveva concesso durante i suoi viaggi promozionali in Italia».

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IL SUCCESSO di Donna nei settanta non è proporzionale al ritorno della critica, molto scettica nei suoi confronti e convinta che sarebbe stato un fenomeno destinato a sgonfiarsi: «Probabilmente per colpa di un certo provincialismo della classe intellettuale e di una parte dei giornalisti dell’epoca, perché era innegabile che sotto la scorza di cantante sexy c’era un personaggio di enorme talento». Sottovalutazione che si lega anche con il grande equivoco maturato intorno alle origini della disco, fenomeno nato nel sottoproletariato americano, nei sobborghi e prima vera cultura di massa ma che in Italia viene equiparata a un fenomeno per ragazzi borghesi; «Io – sottolinea Bufalini – pur di sinistra e impegnato non capivo questa violenza verbale e l’aggressività nel giudicare queste produzioni. Se Donna Summer fosse stata la regina del rock si sarebbero resi conti che la sua voce era importante, il fatto che fosse la regina della disco tutte le critiche mosse al genere in 4/4 venivano applicate come una carta carbone su di lei. Il problema è che la disco non era ancora confluita nella dance come è avvenuto poi. Perché Madonna ha avuto critiche positive pur non avendo i mezzi vocali di Donna? Perché erano cambiati i tempi e non c’era più la disco da demolire. Se lady Ciccone avesse iniziato tempo prima, sarebbe sparita. A schiuderle le porte è stata in qualche modo Donna».

Donna Summer sulla copertina di “Fours seasons of love” (1976)

DONNA è stata l’unico personaggio uscito dall’era disco a mantenere uno status di superstar, pur con album non sempre perfetti. Dimostrando di essere un’interprete capace di cimentarsi su stili e ambienti sonori ad ampio spettro: «Se tu pensi che Bad girls, l’album disco per eccellenza, contiene ballate rock come My baby understand, soul ballad di livello del calibro di There will always be a you e la suite elettronica a cui attingeranno negli ottanta Depeche Mode, Pet Shop Boys, New Order, ti rendi conto della varietà di ispirazioni che caratterizzavano ogni suo progetto». In qualche modo Donna e l’entourage precorrono i tempi: solo due anni prima (1977) I remember yesterday declina la disco dal passato foxtrot al futuro di I feel love. «Lei stessa spiegava nelle interviste che nelle session di registrazione venivano elaborati dei suoni a cui la gente non era ancora abituata, ma poi qualche anno dopo si sentivano alla radio. Non si rendevano conto di essere pionieri. Si è sempre detto che la disco era artefatta, invece emerge che negli studios la fase creativa era ai massimi livelli. E Donna non si perdeva in sovra-incisioni, il primo take era quello giusto, si conservava una seconda voce solo per cautela».

Donna Summer in concerto a Berlino, 2009 (foto Ansa)

UN’OMBRA nella sua carriera è la vicenda legata a una sua presunta dichiarazione sull’Aids definito come «punizione divina» verso gli omosessuali, frase che nega con convinzione e accuse che nel tempo la costringeranno a muovere cause milionarie contro quotidiani e riviste che le riprendono. L’impressione è che all’inizio l’entourage di Donna sottovaluti l’accaduto: «Non è sbagliato quello che dici, ma va inserito in un contesto preciso. Donna Summer è come se avesse avuto due carriere, dal 1974 fino al 1980 e poi la seconda dal 1981 in poi. Finché c’è stato Neil Bogart (lo storico tycoon della Casablanca che ha sotto contratto Donna fino al 1980, un rapporto che si concluderà malissimo con una causa giudiziaria, ndr) era una gestione che non faceva una piega seppur con contrasti e screzi. Dal 1981 in poi l’entourage di Donna è formato da familiari. E se è vero che Bruce Sudano (il marito di Donna nonché musicista, ndr) è persona molto dotata, ma non poteva avere un atteggiamento troppo freddo perché era coinvolto in prima persona. Quando cominciarono ad arrivare le minacce alla vita delle figlie, si spaventarono molto. Con un altro team in sei mesi avrebbero messo a tacere queste illazioni, ci hanno messo anni ma forse non era possibile fare altrimenti». Nessuno dimentica i Beatles nei sessanta, ma è certo che il decennio successivo è stato lo zenit per rock, pop, disco e jazz attraverso la pubblicazione di decine di album destinati ad entrare nella storia. Da lì il declino. «Vero, c’è stata una esplosione di creatività probabilmente dovuta al fatto di un’assenza di steccati: rock, pop, disco, le contaminazioni erano all’ordine del giorno. E c’era la possibilità di sperimentare perché ci si liberava dai preconcetti degli anni sessanta anche dal punto di vista moralistico. Uno scardinamento dei valori anche a livello sessuale e quindi creativo e di energia. Donna si è trovata al centro di questo universo e il suo passaggio dall’America all’Europa negli anni in cui ha vissuto in Germania, l’hanno segnata sia a livello produttivo che personale anche per la sua formazione culturale e come essere umano. Abbiamo riletto tante sue interviste dell’epoca: era affascinata dal fatto che in Europa si potesse girare in poche ore da un paese all’altro. È così entrata in contatto con questa multiculturalità che in seguito non ha mai abbandonato».

Donna conserva questo spirito naif e di liberazione e innovazione e lo riporta in America. «La contaminazione nasce da lì: quando Jeff Baxter dei Doobie Brothers fa quell’assolo su Hot Stuff cambia tutto. Probabilmente Neil Rodgers non avrebbe incontrato Bowie. I neri con i bianchi e i bianchi con i neri, e per la prima volta hanno avuto successo – Donna in primis – e in tutto il mondo non solo nella comunità afroamericana… Carly Simon, Carole King e Stephen Stills in realtà non facevano solo pop, ma si spingevano anche su territori più squisitamente disco. Il vero segreto è stato questo: la capacità di ascoltarsi e farsi influenzare l’un con l’altro,. Non mere scopiazzature ma un modo per far aumentare la creatività».