Il 26 novembre 1859 Charles Dickens iniziò a pubblicare sulla sua rivista «All the Year Round» quello che sarebbe diventato un grandissimo e, in parte, inatteso successo: The Woman in White di Wilkie Collins, quasi unanimemente considerato il primo romanzo poliziesco moderno. Pubblicato a puntate nello stile dei feuillettons ottocenteschi, tenne incollato il pubblico fino al 25 agosto dell’anno successivo; la gente faceva la fila per acquistare un nuovo numero della rivista, le vendite aumentarono sensibilmente e si scatenò una vera e propria passione per quella storia fatta di intrighi, donne misteriose vestite di bianco che vagavano per le strade al chiaro di luna, matrimoni, complotti, scambi di identità e destini incrociati.

Tutti gli ingredienti, insomma, di quel fortunato filone della narrativa inglese che va sotto il nome di sensation novel.

In quegli stessi giorni un giovane pittore americano aveva appena deciso di trasferirsi da Parigi a Londra, dove avrebbe incontrato la donna che sarebbe stata al centro della sua intera vicenda artistica e personale.
James McNeill Whistler e Joanna Hiffernan, questi i loro nomi, ebbero un legame così forte da sfuggire a ogni tentativo di definizione: inizialmente nota come sua modella, Joanna, Jo come veniva confidenzialmente chiamata, fu per il pittore americano di volta in volta musa ispiratrice, amante, finta moglie agli occhi dei benpensanti, compagna, sodale, amica, amministratrice, manager e, certamente non da ultimo, madre adottiva del figlio nato dall’unica relazione clandestina che Whistler ebbe all’infuori di lei.

Nonostante la centralità indiscussa della figura di Jo nella vita e nella ricerca artistica di questo grandissimo pittore, poco si sa di lei e della sua esistenza. Agli intrecci del destino che legano Joanna a Whistler e ad altri artisti della scena europea di quegli anni, la Royal Academy di Londra dedica una magnifica mostra, Whistler and the Woman in White: Joanna Hiffernan (fino al 22 maggio), a cura di Margaret F. MacDonald.

Oltre a narrarci le vicende umane dei due protagonisti e a far luce sulla vita poco conosciuta della giovane modella di origini irlandesi, la mostra approfondisce l’influenza che Whistler, con i suoi ritratti di Joanna ammantata di bianco, ebbe su molti pittori dell’inizio del secolo scorso, contribuendo a creare un vero e proprio canone figurativo, di grande successo.

Eleanor Parker in “The Woman in White” di Peter Godfrey, 1948

Se è vero che un ritratto è sempre il risultato di una collaborazione – evidente o sottotraccia – fra l’artista e il suo soggetto, l’ascendente e l’importanza che ebbe Joanna Hiffernan sull’attività di Whistler fu sin da subito profondissima e determinante, tanto che le tre Sinfonie in bianco di cui lei è protagonista rappresentarono un punto di svolta nella carriera del pittore americano, ed è proprio intorno a questi dipinti che ruota la mostra londinese.

Il primo dei tre, conservato presso la National Gallery di Washington e realizzato a Parigi, dove la coppia era tornata per un breve periodo soggiornando in uno studio al numero 18 di Boulevard Pigalle, rappresenta la giovane modella a figura intera, lo sguardo sospeso in una espressione indecifrabile e le braccia lungo i fianchi, completamente immersa in un candore bianco che quasi confonde il vestito con le tende retrostanti.
Osservando il quadro viene da chiedersi chi stia guardando la giovane donna con lo sguardo rivolto fuori dai confini del dipinto, se sia in procinto di muoversi verso qualcuno o abbia invece deciso di non andare oltre, e se quel fiore che tiene distrattamente nella mano sinistra sia un dono ricevuto o abbia una valenza simbolica.

Il dipinto non riscosse un’immediata buona accoglienza e venne rifiutato sia dalla Royal Academy che dal Salon parigino, per essere esposto al Salon des Refusés il 15 maggio 1863. Whistler inizialmente negò ogni espresso riferimento all’opera di Collins, ma va anche detto che il successo del romanzo in qualche modo contribuì alla notorietà del dipinto: un certo alone di fascino iniziò a ruotarvi intorno e la figura e la personalità sfuggente di Joanna fecero il resto. In poco tempo The White Girl, che venne definitivamente chiamato Symphony in White n. 1, fu seguito da un altro capolavoro, Symphony in White n. 2, in cui Joanna, ovviamente ancora vestita di bianco, è appoggiata a un camino con lo sguardo malinconico riflesso in uno specchio e un ventaglio giapponese in mano secondo la moda dell’epoca; come nel bellissimo Purple and Rose: The Lange Leizen of Six Marks di proprietà del Philadelphia Museum of Art, in cui porcellane e vasi giapponesi circondano la modella vestita con un lungo kimono.

Il bianco assoluto in cui era immersa, nelle sue varie versioni, la modella dai capelli rossi amata da Whistler, divenne rapidamente un punto di riferimento per molti altri artisti, alcuni grandissimi, e in mostra sono esposti vari dipinti in cui è evidente il debito nei confronti dell’opera. La Sonnambula di John Everett Millais è forse l’esempio più evidente, ma anche un piccolo e intimo olio su tela di Berthe Morisot trae chiaramente la propria ispirazione dalle opere di Whistler, così come la bellissima figura di donna ritratta da Sargent fra le colonne di un cortile orientaleggiante, o i dipinti di Anders Zorn e Fernand Khnopff, il bellissimo Ritratto di Hermine Gallia di Gustav Klimt e, da ultima, la seducente e conturbante Symphonie en blanc di Andrée Karpelès, del 1908.

Cosa sappiamo però davvero di Joanna Hiffernan? La sua bellezza era fuori discussione e tale da farla apprezzare come modella anche da Courbet, che le dedicò vari ritratti, del tutto differenti da quelli di Whistler. Era nata in Irlanda e povera di origini, ed evidentemente non troppo forte di salute. Dopo aver amato e accudito Whistler prima, e suo figlio poi, ed aver seguito il pittore in giro per l’Europa, a soli quarantaquattro anni si ammalò di bronchite e morì il 3 luglio 1886 in una casa nel quartiere di Holborn, a Londra. Whistler era al corrente della malattia? Non si sa, come tanto altro ancora di lei è sconosciuto.

Joanna è un personaggio al quale più ci si avvicina osservando uno dopo l’altro i suoi meravigliosi ritratti e più sembra sfuggirci: la sua è un’espressione indefinita, incline alla malinconia, che accentua la sua eleganza eterea. Sembra davvero essere stata una sorta di apparizione, una figura di donna che per qualche ragione si è costretti a continuare a inseguire senza mai davvero raggiungere, fortemente simile in questo senso alle eroine misteriose e biancovestite che hanno fatto sognare e innamorare i lettori di Wilkie Collins. Non ultima fra loro la bellissima Eleanor Parker, che nel film The Woman in White del 1948, diretto da Peter Godfrey e malamente tradotto in italiano con il titolo La Castellana Bianca, sembra ispirarsi direttamente alle espressioni sospese e malinconiche che caratterizzavano le pose di Jo.