«Scrivere la mia prima biografia su un personaggio come lui sarebbe stato impossibile». Esordisce così Alice Milani durante l’incontro alla libreria Feltrinelli di Pisa per la primissima presentazione di Università e pecore. Vita di Don Milani. La fumettista pisana, che ha all’attivo le biografie di Winslawa Szymborska e Marie Curie, è la nipote del fratello di Lorenzo Milani, il sacerdote che attraverso la fede ha rivoluzionato la scuola italiana, difeso il dubbio come metodo critico per la conoscenza e promosso l’istruzione come primo passo per il riscatto sociale. Il suo libro più famoso, Lettera a una professoressa, uscito poco prima della morte, mentre Don Milani si difendeva dall’accusa di apologia di reato per aver difeso l’obiezione di coscienza, è un alto esempio di scrittura collettiva applicata. È la risposta dei ragazzi della scuola di Barbiana alla professoressa di Lucianino, che è stato bocciato per la seconda volta: una risposta artistica, composita, fatta di molte proposte contro un unico, ripetuto diniego. Quella bocciatura che invece di insegnare, sottolinea le differenze ed esclude. Alice Milani nella sua biografia a fumetti tratta questo ed altri episodi meno noti, attingendo anche a documenti di famiglia.

Alice, Don Lorenzo era una figura troppo scomoda, o semplicemente troppo familiare per essere affrontata? Avevi ascoltato molti racconti in casa?
Certo, la decisione di scrivere la sua biografia è stata infatti più recente. Lorenzo era un personaggio davvero troppo complesso per essere affrontato con leggerezza. Mio padre gli faceva spesso visita; mio padre, che è il Pierino di Lettera a una professoressa: figlio del dottore, è preciso, diligente, primo della classe e privilegiato, l’esempio opposto agli studenti di Barbiana. Non sto svelando nessun segreto: Lorenzo veniva da una famiglia agiata e colta, il fratello Adriano era medico e agli occhi del prete la sua agiatezza era legata alla miseria degli ultimi.

La storia è montata con un dispositivo abbastanza classico: una cornice contemporanea in cui l’autrice fa visita alla nonna, che ricorda la figura di Lorenzo. Vizi e virtù di questo impianto narrativo?

Ho cercato di limitare l’uso della cornice perché quello che interessa al lettore è Don Milani, non la nonna. Al tempo stesso però mi interessava molto il contrasto della sua bella casa, della famiglia bene, i privilegi ostentati della famiglia nobile, perché sono il contrario delle scelte fatte da Lorenzo, che sul costante confronto tra queste due realtà, ha fondato il suo pensiero. Anche la madre di Don Lorenzo, Alice Weiss era una donna di grandissima eleganza, mangiava ogni giorno con posate d’argento.

È stata proprio la sua estrazione sociale a portarlo a questo pensiero.
Esatto, Lorenzo ha rifiutato completamente lo stile di vita della sua famiglia, riuscendo a rimanere molto affezionato alla madre, ma rinunciando al benessere che la sua estrazione sociale gli garantiva: ha vissuto tutta la vita in montagna, senza acqua corrente, elettricità, senza riscaldamento e quel che è più importante, dedicandosi a questi ragazzini che senza di lui non avrebbero avuto altrimenti nessuna possibilità di frequentare la scuola. In una realtà rurale come quella ci sarebbe stata forse una pluriclasse, ma non troppo vicina, una classe unica per i corsi tra la prima e la quinta elementare.

L’importanza del verbo divino e della parola per la cultura degli uomini…

Certo, ovviamente: anche in fabbrica, come avrebbero fatto gli operai di Calenzano a difendersi contro i soprusi del padrone?

Mi è sembrato molto significativo il titolo del libro «Università e pecore» che è una missiva incompiuta che Milani scrive a un suo amico magistrato sul caso della famiglia secolarmente analfabeta del mezzadro e di quella secolarmente universitaria del padrone.
È la mia famiglia: per 300 anni abbiamo affidato i poderi alla stessa famiglia di contadini, impedendo loro di istruirsi. Il signorino che si può permettere di fare carriera universitaria grazie alle rendite delle mezzadrie, è infatti mio padre, che è poi è diventato docente universitario, un grande matematico, ma comunque un privilegiato. Se fosse nato in una casa di contadini avrebbe parlato in modo diverso e non sarebbe diventato chi è stato.

Quindi l’istruzione è il primo passo per l’abbattimento delle diseguaglianze sociali e Don Lorenzo questa realtà ce l’ha proprio sotto gli occhi.

Erano molto ricchi, avevano molti poderi e per molti poderi c’erano altrettante famiglie di contadini. Ogni famiglia di contadini viveva della mezzadria, e i padroni, della mezzadria moltiplicata per il numero dei poderi. Noi non realizziamo così facilmente la diseguaglianza; al tempo, in un mondo meno globalizzato era forse più facile rendersi conto di questo tipo di ingiustizie.

Nonostante i problemi con la curia di Firenze, il ritiro dalle librerie del suo libro «Esperienze Pastorali», che raccoglie l’esperienza di San Donato di Calenzano e in nuce tutte le sue idee, Don Milani, ubbidisce.
Esatto, come quando lo mandano a Barbiana, 39 anime sperse nel Mugello, non raccoglie la provocazione, e decide di dedicarsi anima e corpo all’insegnamento. La prima cosa di cui hanno bisogno i ragazzi è imparare l’italiano. Come era successo con gli operai di Calenzano, ai quali Don Lorenzo aveva insegnato l’italiano per trattare coi padroni, unirsi in sindacato e scendere in piazza a manifestare.

È stato definito prete comunista, erroneamente: Don Milani voleva semplicemente promuovere il sapere come bene comune, ma era facile additarlo come prete politico poiché dava ai suoi alunni strumenti e conoscenze per non farsi sottomettere e la sua scuola era una palestra per la lotta di classe.

Sì, nell’episodio della riunione con i direttori didattici al Comune di Firenze, questa visione è chiara. Si deve, eccome, parlare di politica a scuola, poiché era durante il fascismo che non se ne parlava: «gli indifferenti in politica finiscono fascisti», ribadisce Don Lorenzo di fronte ai direttori sbigottiti. Sono le stesse cose che si dicono pericolosamente anche oggi giorno, tentando di eliminare la dimensione cittadina degli alunni.

Nella sua formazione Don Milani cerca una regola prima estetica e poi etica, che approda alla religione: è un cammino segnato da un estremo rigore morale che non inficia la totale disponibilità verso l’altro, i valori dell’accoglienza e dell’inclusione.
No, certo: su questi valori Lorenzo fonda tutto il suo modo di far scuola e il suo essere religioso. Ricordiamo il caso del bambino con ritardo cognitivo, affetto da mutismo indotto, che tentò a lungo di far parlare. Don Milani era convintissimo di dover fornire la parola a queste persone e si sentiva assolutamente responsabile al cospetto di Dio per l’insegnamento dato.

Per quanto riguarda l’aspetto grafico, c’è una novità tecnica, nell’uso di un tratto nero per le espressioni dei volti, per la fisiognomica, e qualche citazione pittorica…
Un tratto più diretto, perché è un libro pieno di personaggi animati da grandi passioni, di facce quasi sempre incazzate. Poi, dovendo condensare molte informazioni, ci sono più vignette per tavola, un tratto nero è più semplice da intuire che le matite da sole, come avevo usato nei lavori precedenti. La necessità di sintesi ha fatto sì che apparissero anche divertenti scorciatoie al testo verbale: i fulmini, i gomitoli, per censurare i pensieri adirati del prete…e sì, c’è un po’ di primo novecento nei contadini ispirati a Sironi e nelle fabbriche di Guttuso.

Alice, mi sembra che nel tuo lavoro, come nelle parole e nell’opera di Don Milani, ci sia sempre ironia, un gran senso dell’umorismo: che sia questa l’eredità che ti ha lasciato?
Sì, sì! Sicuramente! Mio padre l’aveva, Lorenzo anche, a me viene riconosciuta. Chissà, forse devo darmi al fumetto umoristico…