Un grande muro scuro, piazzato al centro della scena, troneggia nella penombra. Si scompone in blocchi, ribaltati, rialzati per la scena, trasformati in letti dove vivere amori che divertono e straziano, in larghi piani dove festeggiare matrimoni traditi prima di essere consumati, mossi come torri imponenti da cui manifestare a volto acceso un bisogno folle di rivalsa. Accade in Don Juan, la nuovissima creazione di Aterballetto firmata dal coreografo svedese Johan Inger per i sedici ballerini della Fondazione Nazionale della Danza di Reggio Emilia diretta da Gigi Cristoforetti. Un tour internazionale per una novità dai tanti coproduttori, la cui prima assoluta ha aperto la stagione di danza del Teatro Comunale di Ferrara, a ridosso dell’anteprima al Valli di Reggio Emilia per il festival Aperto. Debutto italiano in anticipo su una settimana coraggiosa di questi tempi quanto culturalmente significativa: Don Juan è fino a sabato 17 al Théâtre National de la Danse Chaillot di Parigi, centro di spicco in Francia e in Europa, a fine mese è al Metastasio di Prato con date fino a luglio tra Italia e estero. Un programma la cui realizzazione sembrava utopia.
Inger, che per Aterballetto ha firmato pezzi cult come il trascinante Bliss sul Köln Concert di Keith Jarrett, per la sua rilettura psicoanalitica di Don Giovanni ha lavorato con il drammaturgo Gregor Acuña-Pohl con cui ha studiato venticinque testi ispirati al personaggio tra i quali l’opera teatrale in chiave femminista di Suzanne Lilar. Nemmeno una nota dal Don Giovanni di Mozart, il cui confronto con Inger potrebbe essere curioso, ma una partitura originale, dal sound pop di Marc Álvarez.

LA CHIAVE dello spettacolo è narrativa e si appoggia su una danza che alterna generose danze di gruppo a duetti di conquista che mettono in luce l’insaziabile sete di amplessi del protagonista. Per Inger Don Giovanni è un tossicodipendente dal sesso, complice l’abbandono materno che non rende possibile all’irrequieto ragazzaccio alcun rapporto duraturo. Il serial latin-lover senza scrupoli è Saul Daniele Ardillo, quasi costantemente in scena (lo spettacolo dura un’ora e quaranta minuti): una bella prova, affiancata da quella di Philippe Kratz, nella parte di Leo/ Leporello, alter ego di Don Giovanni che tenta di far rinsavire l’irresponsabile giovanotto.

I QUADRI sono giocati tra i blocchi scenografici in movimento di Curt Allen Wilmer: dal parto di Don Giovanni da una madre insofferente (Ina Lesnakowski) agli amori con Elvira (Estelle Bovay), Zerlina (Serena Vinzio), Tisbea (Martina Forioso) e Donna Ana (Ivana Mastroviti). Feste e fughe fino allo stupro dell’adolescente Inés (Arianna Kob), alla quale, mostruosamente, si sostituisce sotto il corpo del ragazzo quello giudicante della madre.
Vive in alcune soluzioni il legame con il maestro del balletto moderno narrativo del Novecento, lo svedese Mats Ek, che per Inger è artista di riferimento: come la culla-macchinina dentro la quale Elvira gira per la scena o lo stile all’unisono del ballo degli invitati al matrimonio quasi folk tra Masetto e Zerlina. La rilettura del mito si impagina con voluta leggibilità in spettacolo e il racconto “fisico” delle sempre più voraci conquiste di Don Giovanni ha sfaccettatura. Luci incisive di Fabiana Piccioli e plauso alla compagnia diretta da Sveva Berti.