Scriveva José Saramago che i viaggi non finiscono mai. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Partire e tornare, fare e disfare le valigie… Perché è soprattutto nel tempo che si inoltra il viaggiatore. Pensavo questo, nella luce rosata del tramonto, in mezzo alla piccola folla raccolta davanti a Palazzo Malagola, a Ravenna, dove Ermanna Montanari e Marco Martinelli si apprestavano a presentare la seconda parte del loro Don Chisciotte Ad ardere. Ricominciando proprio dall’inizio. Lei che dal balcone che dà sulla strada snocciola il suo «pro logos» imbrogliando i fili molteplici di una lingua che via via diventa materna, generatrice della parola nel senso più pieno, la lingua romagnola dei primi racconti ascoltati; lui che apre agli erranti il portone del palazzo incantato.

Però, aggiungeva ancora Saramago, mentre già il viaggiatore è sulla porta, qualcuno deve restare a casa a innaffiare i fiori. Ho sempre amato questa immagine. Questo distogliere per un attimo lo sguardo dai propri passi, per guardarsi intorno. A chi è rimasto indietro a badare alla casa. Chi sono dunque coloro che Hermanita e Marcus si sono lasciati alle spalle, e noi con loro due. Poveri maghi sperduti che si sono assunti il ruolo di guida nella fabula costruita a margine del grande libro di Cervantes. Forse sono le anziane donne che cuciono a macchina i loro sogni nell’androne del palazzo, mentre altre li scrivono nei loro quadernetti e poi vengono a sussurrarteli come in segreto. Ma che emozione intraprendere di nuovo la salita, a piccoli gruppi, lungo il labirintico percorso attraverso le stanze dove si ritrovano apparentemente immutati quei quadri di un’esposizione umana che un poco inquietano. Come fanno sempre i sogni.

RITORNARE sulle proprie tracce vuol dire confrontarsi con il tempo, con ciò che la memoria conserva e ciò che appare nuovo, anche se solo è cambiata la prospettiva da cui lo si guarda. Quando si torna all’aperto, nel cortile attrezzato con una gradinata e un basso palchetto colorato di rosso, è già buio. Dove ci aspettano l’ingegnoso hidalgo e il buon Sancio Panza e la Dulcinea del Toboso, ovvero Roberto Magnani, Alessandro Argnani e Laura Redaelli. Giacché di attori che interpretano una parte, si tratta – non vi fidate di quel che ascoltate, ammonisce il mago. E accanto a loro il grande coro da teatro di massa che a ondate dilaga sulla scena ballando e cantando. Tutti vestiti di bianco, le cittadine e i cittadini che hanno risposto alla «chiamata pubblica» per questa nuova avventura pluriennale ospitata dal Ravenna festival.

LORO SÌ hanno viaggiato, nel tempo dell’assenza. E ora che sono tornati qui, in questa locanda del tempo perduto, quel tempo ci precipita addosso. Come il maledetto archibugio, il fucilino che nel tempo è diventano una pioggia di missili e bombe, e sono lì a chiedere sempre più armi. Quelli che ci vuole la guerra per ottenere la pace. Il fiammiferino acceso per bruciare i libri dei cattivi maestri produce fiamme sempre più alte. Scapì intant ca putì, invoca la maga Hermanita. Scappate finché potete. E allora via per le strade della città, dietro al mago Marcus. Si sosta un momento a guardare Stefano Ricci che con un gessetto disegna veloce su una grande lavagna fiabeschi uccelli notturni che subito cancella. Si passa di nuovo sotto il balcone della maga. Per arrivare a una sorta di accampamento, nascosto dietro la facciata del palazzo in rovina associato per convenzione al nome di Teodorico, illuminato dalla luce di un grande braciere.
I ragazzi stanno distesi a terra. I tre protagonisti usciti dalle loro parti, ma non proprio del tutto, hanno preso un po’ le distanze l’uno dall’altro. Cosa ci fanno qui, si chiedono. Attendono il ritorno dei due artefici. Dopo tante immagini, tante corse, salite e discese, dopo tanti sogni, e tanti scontri con la realtà a interrogarci se sia poi davvero così ridicola questa donchisciottesca resistenza allo spirito del tempo – c’è bisogno di un momento di quiete. E potrebbe finire così, se non ci fosse l’irrompere della «bambina senza nome» a ridar e voce alle vittime della violenza. Si esce un po’ turbati, pensando Ciò che ci è parso di capire è che questa seconda parte di Don Chisciotte Ad ardere è forse il tratto di congiunzione con il gran finale che si annuncia per la prossima estate. Quando il trittico troverà compimento. La fine di un viaggio è solo l’inizio di un altro. Buonanotte, amici.