Da anni, Domenico Chianese, psicoanalista di scuola freudiana e già presidente della Società Psicoanalitica Italiana, aveva proposto una svolta iconica che mettesse l’immagine, e quindi il pensare per immagini, al centro e alla base del pensiero analitico, superando così l’idea consolidata, nel campo freudiano, che l’iconicità del linguaggio onirico sia una sorta di pensiero rappresentazionale di secondo grado, riportabile, se analizzato, a un pensiero latente strutturato come linguaggio di parola.

Ora esce un suo libro di ricchezza strabordante, Il vivente e il sacro (Astrolabio, pp. 238, euro 22,00) la cui tessitura e costruzione procedono come in un ologramma, termine che compare nell’ultimo capitolo: «la lastra olografica potrebbe contenere un qualsiasi numero di immagini semplicemente inclinando l’angolo sul quale il laser colpisce la lastra. Per Bohm nella fisica quantistica la realtà implicata è strutturata in modo tale per cui tutte le parti implicano l’intero».

A fare da motivo conduttore del libro è il sogno, sognato prima da Freud, poi da Jung, poi da Picasso, dai grandi della fisica quantistica e dai loro successori negli anni Settanta, da Bion e infine dal’autore stesso. Il cui studio implica non solo la storia della psicoanalisi – con Freud, Jung, Winnicott, Bollas, Matte Blanco, Fachinelli e altri meno noti – bensì quanto era alle origini della filosofia, «lo sguardo secondo il tutto», tenendolo in tensione con il procedere analitico radicato nella singolarità dell’esperienza.

La genealogia psicoanalitica nel libro si spinge fino al mondo dei misteri: «Da quel mondo antico di Apollo e Dioniso, del Labirinto, degli dei e degli oracoli, delle divinazioni, noi abbiamo ereditato il senso dell’enigma che attraversa la nostra vita, l’analisi e i nostri sogni.» E ancora: «Resta il pathos del nascosto, la tendenza a considerare il fondamento ultimo del mondo come qualcosa di celato. Non è poi questa una delle antiche fonti dell’inconscio, di quell’al di là nascosto, celato alla coscienza?».

In uno svolgimento conclusivo si passa dai «Ricordi di copertura» di Freud, un saggio letto come «poetico e pittorico», alle parentele con la poesia, le arti, le scienze come vie d’accesso al «sacro». Una guida portentosa viene rintracciata in Bion, per il quale l’analista «deve essere una specie di poeta, di scienziato e di persona religiosa», che istitusce una distinzione non fra ciò che è conscio e ciò che appartiene al mondo dellinconscio, ma tra finito e infinito: « l’analista deve diventare infinito attraverso la sospensione di memoria, desiderio, comprensione».

Tutto il libro trova infine una sintesi in un’etica per il futuro che abbraccia il vivente, il suo cosmo e la sua cura: « Il bene è sempre la fonte del sacro; il bene, e ciò che è relativo al bene, è sacro Sacra è la cura dei pazienti e la cura per la vita significa prendersi cura di un oggetto che ha la qualità di essere viva, nutrire una curiosità per quelle qualità che noi riconosciamo alla vita e sentire un profondo desiderio di conoscerle e amarle».