A palazzo Chigi c’è un vero e proprio affollamento. Ci sono i ministri dell’Economia Franco, e quello della Transizione Cingolani con il sottosegretario Garofoli e di fronte a loro l’ad di Eni Claudio Descalzi. Arriva anche il Ragioniere generale dello Stato Mazzotta, spuntano i ministro Orlando e Giorgetti. Alla fine, di ritorno dal Gran Sasso e in procinto di partire per Parigi, si trattiene per qualche ora lo stesso Draghi. Sembra un gabinetto di guerra e lo è. La corsa delle bollette sembra fuori di controllo. Gli aumenti saranno nell’ordine del 131% sull’elettricità, del 94% sul gas. A Milano un hotel ha visto lievitare la bolletta da circa 11mila e circa 50mila euro e la Lega ha perso la calma. Per fare l’elenco delle associazioni che protestano e reclamano un «intervento drastico» ci vorrebbe un elenco lungo quanto quello del telefono. L’intervento arriverà domani, col decreto che il cdm si accinge a varare. Se sarà sufficientemente drastico lo diranno solo le cifre snocciolate domani e poi i fatti.

PER QUANTO RIGUARDA il capitolo più strutturale, non limitato alla contingenza della prossima bolletta, almeno i titoli sono già certi. Bisognerà raddoppiare la produzione di gas italiano, per poi rivenderlo alle aziende che ne hanno più bisogno ma a prezzo calmierato. È un intervento tutt’altro che semplice perché bisognerà riattivare pozzi e aprire nuovi impianti. Contemporaneamente dovrebbe essere decisa una accelerazione netta sul fronte delle rinnovabili ma politicamente le due strade sono difficilmente conciliabili. Tirano in direzione opposta, anche per le inevitabili ricadute sul corposo capitolo del Pnrr dedicato alla transizione ecologica e sulle scelte strategiche conseguenti.

IL CAPITOLO PIÙ SPINOSO però è il sostegno immediato. La cifra da mettere in campo è ancora ballerina. Potrebbe arrivare a 7 mld e non basterebbero, comunque al momento non ci sono. Ecco perché il ministro 5S torna alla carica e chiede quello scostamento di bilancio che Draghi è fermamente deciso a negare: «Meglio fare debito che condannare le aziende al fallimento». Patuanelli è il solo a pronunciare la formula che per Chigi e il Mef equivale a una bestemmia. Non è detto che sia anche il solo a pensarci però. Il pressing della Lega, che martella per «passare dalle parole ai fatti», potrebbe andare nella stessa direzione se lo stanziamento si rivelasse domani inferiore alle aspettative. Ma Draghi resiste e resisterà. Anche perché probabilmente sa già che uno scostamento si renderà inevitabile in giugno, con la Nota di aggiornamento al Def, quando il problema bollette si ripresenterà altrettanto se non più grave.

GLI INTERVENTI POSSIBILI, dal punto dei vista dei ristori, sono una nuova sterilizzazione degli oneri di sistema sull’elettricità, la riduzione al 5% dell’Iva sul gas, l’ampliamento della platea che gode dei bonus, per il momento limitata a circa 3mln di famiglie in base all’Isee. In campo c’è anche la proposta di spostare gli oneri dalla bolletta alla fiscalità generale ma se anche verrà presa in considerazione sarà per i prossimi mesi e non domani.

Non sembra probabile che domani il governo affronti anche il nodo Superbonus, non ancora risolto. I partiti insistono per sbloccare la cessione del credito ma l’accordo ora è a portata di mano. Salvini reclama il ritorno a ulteriori cessioni dopo la prima. Aggiunge però «purché a soggetti vigilati da Bankitalia, a società del medesimo gruppo insieme a nuove misure per la tracciabilità dei crediti». Precisamente il modello che hanno in mente Draghi e Franco.