Luc Besson è un geniaccio del cinema. Talvolta un geniaccio del male che dopo esordi più che promettenti ha sposato un cinema che potenzialmente possa portare a casa quattrini. Tanti. Non è tipo da andare per il sottile, lui punta l’obiettivo e cerca di perseguirlo in ogni modo. Si è adagiato su operazioni commerciali senza più «ispirazione». Ora, dopo qualche tempo di silenzio alla regia, non dirigeva un film da quattro anni, Anna, è tornato chiedendo permesso. In particolare a Garrone per poter usare un titolo che Matteo aveva usato per il suo film. Ringraziando nei titoli di coda il regista italiano.

E BISOGNA DIRE che, in effetti, Besson aveva decisamente bisogno di questo titolo per la sua storia. Che comincia in una fattoria statunitense dove un babbo, quintessenza della brutalità, alleva cani da combattimento, con la complicità del fratello del protagonista, che viene invece considerato un romantico mollaccione. Per questo viene confinato a vivere nella gabbia degli animali, proprio come loro. Del resto si chiama Doug, una sottile differenza con il termine inglese dog, che letto però al contrario cambia completamente valenza diventando god, dio. Quando finalmente potrà sortire da quella prigione Doug ha ormai maturato un discreto rancore nei confronti dell’umanità, è anche costretto su una sedia a rotelle e può muovere pochi passi con un tutore tremendo. In compenso prova un amore, sperticato e ricambiato, per il suo esercito di quadrupedi che ormai eseguono qualsiasi ordine venga loro dato. I cani non hanno una coscienza civica, quindi per loro rubare e compiere altre nefandezze non ha alcuna implicazione morale. Neppure per Doug che vive compiendo reati, alternati però a esibizioni canore notevoli, si va da Annie Lennox con Sweet Dreams a una struggente Lili Marlene sino a riproporre un brano meno noto di Edith Piaf (tranquilli, arriverà anche la celeberrima Je ne regrette rien). E qui va detto che il protagonista del film Caleb Landry Jones dimostra di possedere un talento interpretativo non solo straordinario per quel che riguarda il suo personaggio, con un rapporto simbiotico con gli animali, ma anche in termini di proposta canora di brani famosi. Sembra che Besson e lui abbiano lavorato per diverso tempo alla preparazione di questi aspetti e bisogna dire che il lavoro ha pagato.

Purtroppo però Besson non resiste, deve andare sopra le righe, con una storia che già di per sé è piuttosto forte, dove bene e male si contrappongono in un confronto mortale. No, lui vuole andare oltre, strappare l’oh di stupore allo spettatore, anche a costo di finire nella retorica più trita in cui coinvolge il suo eroe nel finale. Forse era difficile chiudere un film così, ma la scelta compiuta è veramente risibile. Per fortuna rimarranno in mente più le «addestrate interpretazioni» canine, con grande entusiasmo degli appassionati animalisti, e quella di Landry Jones alle prese con un personaggio incarognito dalle brutture del mondo.