È come affrontare l’epidemia di Ebola esplosa in Africa, bisogna mettere da parte le procedure ordinarie e seguire i protocolli che i medici di Emergency hanno utilizzato con successo in Sierra Leone: «Siamo stati lì nel 2015 e nessuno sanitario o paziente ha infettato le nostre strutture ospedaliere» spiega la presidente dell’associazione umanitaria, Rossella Miccio.

In che modo potete aiutare a risolvere la crisi Corvid-19?
Con la regione Lombardia e la Protezione civile stiamo ragionando su come supportare gli ospedali. Ci hanno contattato tanti medici in Italia, i nostri dottori sono nei progetti all’estero, per dare una mano abbiamo cercato di identificare protocolli e procedure per tenere in sicurezza le corsie in prima linea, per evitare il diffondersi del virus al loro interno. Non ci si aspettava una contagiosità così alta: in particolare all’inizio, si è infettato tanto personale sanitario, soprattutto al di fuori delle aree Covid-19. In infettivologia o rianimazione si seguono sempre certi tipi di protocolli ma fuori da queste aree, all’inizio soprattutto, una serie di presidi di sicurezza non c’erano o non si seguivano certe procedure e questo ha fatto diffondere la malattia tra gli operatori sanitari, indebolendo il sistema. Stiamo individuando con la regione gli ospedali dove dare una mano.

Le vostre procedure sono frutto dell’esperienza sul campo.
Abbiamo lavorato in Sierra Leone durante l’epidemia di Ebola, nel 2015. Avevamo due strutture: una era un ospedale chirurgico, l’altra un centro per i malati di Ebola. Abbiamo assicurato la funzionalità ordinaria dell’ospedale chirurgico, che è rimasto per tutta l’epidemia «ebola free». L’altra struttura aveva l’unica terapia intensiva per malati di Ebola di tutto il continente. La nostra coordinatrice, Gina Portella, è stata l’unica dottoressa al mondo a gestire più pazienti intubati o in dialisi. In Occidente erano uno per ospedale, noi avevamo 12 posti e 4 o 5 occupanti in media. Devi sapere come bloccare le possibili contaminazioni, gestire i flussi di persone o il materiale sporco/pulito.

Ci sono già due progetti di Emergency in corso a Milano.
In collaborazione con il comune, tramite la piattaforma «Milano aiuta» abbiamo allestito un centralino con i volontari sul territorio per portare cibo e medicine alle persone fragili o in quarantena. Ancora in collaborazione con l’amministrazione, stiamo monitorando e gestendo l’emergenza Covid-19 nei gruppi vulnerabili: senza fissa dimora, minori non accompagnati, richiedenti asilo. Fasce di popolazione esposte al virus ma senza una casa o che vivono in strutture di accoglienza di gruppo, dove non è garantito l’isolamento né il rispetto delle norme igieniche. Molti non hanno un medico da chiamare se dovessero sviluppare i sintomi.

In che modo intervenite?
Emergency ha attivato dei team, fatto una mappatura delle strutture, identificato le priorità in base al numero di ospiti e alle condizioni dei luoghi. Dallo scorso sabato abbiamo controllato circa 36 alloggi. Dove necessario, indichiamo ai gestori le modifiche degli spazi da fare, una diversa logistica, distanziamento dei letti, dispositivi per lavarsi le mani, gestione dei pasti. Forniamo la supervisione sanitaria (per monitorare eventuali sintomi) e la formazione del personale. Infine, il comune ha individuato un edificio da 70 posti nella zona di Quarto Oggiaro, in via Carbonia: da ieri viene utilizzato per isolare le persone che sviluppano i sintomi e quindi non possono più stare in alloggi collettivi. A Milano ci sono circa 5mila tra senza fissa dimora, minori non accompagnati e richiedenti asilo che potrebbero averne bisogno. Anche qui saremo di supporto con il personale medico e per la formazione.

Come operano i vostri ambulatori in Italia?
Dal 2016 siamo presenti da Sud a Nord, incluse le zone del terremoto nel centro Italia. Curiamo tutti: migranti, italiani, anziani, malati cronici, persone che non hanno i soldi per pagare l’infermiere a domicilio. La sanità deve essere pubblica, gratuita, universale e di qualità. Se viene meno uno di questi elementi diventa un privilegio per chi se lo può permettere.