Sembra ormai scontato anche alla Camera il ricorso al voto di fiducia per il decreto sicurezza. Un passaggio già visto al Senato che non è stato escluso dal premier: «Sull’iter del decreto valuteremo, abbiamo già fatto altre valutazioni per quanto riguarda la fiducia e se necessario la potremmo rimettere», ha detto Conte al termine della visita fatta alla zona dell’Acquedotto Felice dove ieri sono state sgomberate alcune ville del clan Casamonica.
Dietro la decisione non ci sarebbe però il timore per eventuali sorprese che potrebbero ritardare l’approvazione del provvedimento nei tempi previsti. Piuttosto l’esigenza di rassicurare il ministro degli Interni che ieri ha minacciato una crisi di governo se le cose per il decreto dovessero mettersi male. «Serve al paese e passerà entro il 3 dicembre o salta tutto e mi rifiuto di pensare che qualcuno voglia tornare indietro», ha fatto sapere Matteo Salvini senza troppi giri di parole.

Preoccupazioni che appaiono decisamente eccessive alla luce degli ultimi avvenimenti. Del gruppetto di deputati 5 Stelle che solo due giorni fa hanno scritto al capogruppo Francesco D’Uva chiedendo di modificare il decreto, sembra infatti essersi persa ogni traccia. Più un fuoco di paglia che l’onda lunga del dissenso grillino al decreto, onda cominciata con cinque senatori a palazzo Madama e che avrebbe potuto proseguire alla Camera rallentando, quanto meno, la marcia del decreto. Che invece prosegue spedita. Perché non solo nessuno degli otto emendamenti dati come per certi dai deputati critici ieri è stato presentato, ma gli stessi onorevoli hanno scritto una nuova lettera nella quale rigettano l’etichetta di dissidenti: «Nulla di più falso», assicurano. «Abbiamo chiesto un dialogo più proficuo su un tema che ci sta a cuore e ci sorprende che il sano confronto democratico all’interno del gruppo venga raccontato o interpretato come una rivolta». Come se non bastasse, in serata fonti interne al Movimento hanno dato per scontato quando sarà il momento un voto responsabile e pieno sostegno alla linea Di Maio da parte del gruppo di scontenti.

Tutto bene quindi? Mica tanto. Lo scivolone fatto ieri dal governo, andato sotto su un emendamento al ddl anticorruzione, e lo scambio di accuse tra grillini e leghisti , dimostrano che la tensione all’interno della maggioranza è sempre molto alta. E di certo non è un caso se, nonostante le rassicurazioni giunte ieri sull’approvazione decreto sicurezza da parte di tutto lo stato maggiore dei 5 Stelle, da Di Maio in giù, tra i 600 emendamenti presentati in commissione Affari costituzionali – e destinati ad essere bocciati uno dopo l’altro – ce ne sono cinque che portano il marchio 5 Stelle decisamente più difficili da scavalcare. Così come non è un caso se ancora ieri il presidente della commissione e relatore del decreto, il cinque stelle Giuseppe Brescia, pur escludendo modifiche al testo non mancava comunque di sottolineare i punti critici del provvedimento. «Rimangono forti perplessità su diversi punti del testo, come il ridimensionamento dello Sprar e la mancata tutela a chi potrebbe subire trattamenti disumani e degradanti», ha ricordato Brescia. «Sono punti a cui alcuni emendamenti presentati dai colleghi M5S danno risposta. L’impianto proposto dal decreto regge se aumentano i rimpatri e se il numero di sbarchi rimane invariato, in caso contrario questo sistema è destinato a creare più irregolari, più marginalità e più insicurezza».