«Crossing routes», come rotte che si incrociano tra destini di persone in apparenza diverse, e orgogliosamente diverso è l’equipaggio sportivo dell’associazione «Diversamente Marinai», madrina del progetto di vela d’altura. A different sailing team, come dice il loro motto, è un equipaggio differente perché composto da persone con disabilità fisica e persone normodotate, dapprima dedicato a progetti di integrazione con giovani e disabili, organizzazioni pubbliche e private del territorio (l’associazione ha sede a Portoferraio ed è attiva in Toscana) e poi approdato nel mondo della vela d’altura, quel mondo patinato ed esclusivo di yachting club, che per definizione sembra inaccessibile ai più. Vaquita è il nome dello strepitoso class40 ormeggiato nel porto di Livorno, con cui quest’anno Crossing Routes ha già partecipato a molte regate, la 100 di Montecristo, la 151 Miglia di Punta Ala e la Giraglia Rolex Cup e la Palermo-Montecarlo, che si è disputata dal 21 al 24 di agosto.

VAQUITA
Siamo in 7 a partire dal porto di Livorno in una mattina di agosto, per il trasferimento del Vaquita fino a Palermo, dove lasceremo il testimone all’equipaggio della competizione, che il giorno 21 sarà alla linea di partenza della Palermo-Montecarlo insieme ad altre 50 barche. Una regata trans-mediterranea di quasi 500 miglia, una sfida ardita, in pieno accordo con lo spirito del progetto: le barriere e le sfide economiche, socio culturali, fisiche e mentali, possono essere superate grazie ad un approccio esistenziale basato sulla solidarietà e sul coraggio.
Come mi spiega il comandante Alessio Bernabò mentre sostiamo qualche giorno dopo nel porto di Napoli, «Crossing routes è l’evoluzione agonistica di Diversamente marinai, del quale ricalca la base, ovvero l’equipaggio misto: in questo caso attira professionisti che provengono da esperienze profondamente diverse, tutti uniti da un coinvolgimento sincero nell’intento di fare una regata tradizionale con un equipaggio così composto. Un percorso che nasce all’interno di Diversamente marinai, e che si sviluppa in parallelo».
E il nostro comandante di sfide ne ha accolte e superate molte.
«La possibilità di andare per mare-mi spiega, è il motore di tutto: ho fatto anche il pescatore, con gusto, con passione, perché dove vivevo allora non c’era la possibilità della vela. È stata un’esperienza molto formativa, dal punto di vista umano e da quello dell’arte marinaresca, e sicuramente molto utile per il futuro. Trovarsi ora al comando di una barca da regata per me è la naturale evoluzione di questo progetto: andare sempre oltre i limiti, assecondare la ricerca dei nostri desideri e delle nostre passioni, di ciò che vogliamo essere».
Convinti che il concetto del limite sia del tutto soggettivo e spesso legato a pregiudizi culturali, i membri dell’equipaggio tentano di ridefinirlo ad ogni esperienza nautica. Ma per coloro che presentano una disabilità fisica, come Alessio, che ha contratto una poliomielite postvaccinica a 9 mesi, la condizione fisica è determinante in questa ricerca.
«Per me è stato fondamentale constatare come i miei limiti non coincidessero con quelli che venivano imposti dall’esterno. Ognuno di noi ne ha uno a prescindere dalle sue abilità. Ci sono stereotipi sociali che arrivano prima, una superficie consensuale e pattuita rispetto a quello che poi è invece un limite reale. Questo pregiudizio sulle proprie possibilità blocca l’interessato stesso ancor prima che provi a superarlo. Ho vissuto cercando questo limite ogni giorno e lavoro affinché questo progetto diventi un incontro di persone che si dedicano anche ad altro, ma con il pensiero comune sulle potenzialità reali di loro stessi».
Certo durante il trasferimento l’equipaggio è misto anche rispetto alla preparazione velistica. Su un totale di 7, 5 di noi hanno scarsa, se non nulla, formazione velica e per di più, su questa barca non esistono cabine, c’è un minuscolo fornello basculante per cucinare e la porta del bagno è una sottile tendina che viene abbassata al bisogno. Per i non adepti, basterebbero questi elementi a costituire un limite. Invece, fino a che stiamo a bordo, gli equilibri si definiscono in modo spontaneo, sia per quelle poche operazioni che impone la navigazione- impariamo i rudimenti collaborando, niente di più bello e sensato- sia per quanto riguarda la convivenza spicciola, che si sa, in barca, non è mai facile.
Il comandante conferma la mia impressione: «Il limite maggiore è proprio quello della difficoltà del “fare equipaggio”, il superamento delle individualità per arrivare ad essere un unico organismo, sia quando si fa trasferimento o una crociera che quando si entra nella fase performativa, in regata, quando questo acquisisce una valenza molto diversa. È questo il punto di forza di Diversamente marinai e di Crossing routes. Nelle nostre barche non abbiamo mai avuto grosse agevolazioni a disposizione della disabilità, per cui ci siamo impegnati a divenire ogni volta un equipaggio operativo. In mare, con un mezzo preparato, la differenza la fa il fattore umano, perché a prescindere dalla composizione, è l’equipaggio che deve funzionare. Il mare è una livella fantastica, non gli interessa se sei uomo o donna, nero o bianco, abile o disabile, l’importante è che tu sappia cosa fare e come farlo compatibilmente con le tue abilità».

PROSSIMA TAPPA
Diversamente Marinai e Crossing Routes esistono grazie al sostegno di molte entità che ne sposano l’operato e il messaggio: tra i partner istituzionali figurano la Guardia Costiera, la Regione Toscana, il Comitato Italiano Paraolimpico della Toscana, il Comune di Livorno, la Sezione Livorno della Lega Navale Italiana, ma il progetto vuole crescere: «Poco prima di partire abbiamo incontrato degli ingegneri dell’Istituto Sant’Anna di Pisa: ci piacerebbe iniziare a lavorare con dei partner tecnologici, per andare oltre la semplice integrazione dell’equipaggio. In pratica vorremmo trovare soluzioni tecnologiche affinché le diversità a bordo riescano a raggiungere una maggiore autonomia e integrazione. Penso alle disabilità sensoriali in primis e a quelle fisiche complesse».
Arriviamo a Palermo dopo 7 giorni di navigazione: abbiamo totalizzando quasi 500 miglia marine percorse principalmente a vela, talvolta molto lentamente sopportando la bonaccia, talvolta planando sulle onde, sfiorando i 14 nodi; abbiamo navigato di notte facendo turni di sonno di due ore, sbalorditi, quando svegli, del cielo mozzafiato e in mezzo a quel milione di stelle abbiamo espresso molti più desideri di quelli che avessimo davvero. Abbiamo provato la ricetta profana della pasta cucinata nella pentola a pressione-molto più buona di quanto c’aspettassimo – che pare porti la firma di un velista d’eccezione, Giovanni Soldini. Dopo la tappa napoletana sulla rotta per le Eolie, abbiamo ricevuto il dono raro della visita dei cetacei, una famiglia di capodogli che riposava sbuffando a pochi metri da noi e un intero drappello di delfini giocherelloni e vanitosi venuti a salutarci per farsi accarezzare dall’onda di prua; abbiamo passato un temporale di Ferragosto nella splendida isola di Salina, ospiti della banchina della Capitaneria di Porto e del suo indimenticabile comandante.
Avvistiamo Palermo poco prima del tramonto ed entriamo lenti e solenni nel suo porto, ormai a notte fatta. Nell’isola più importante dell’antico mediterraneo si conclude per noi il viaggio, ma anche dopo la difficile regata trans-mediterranea che l’attende, il Vaquita continuerà ad affrontare con serietà la sfida più grande, in mare e a terra, quella che, declinata rigorosamente sulla realtà velica è di fatto una vera e propria lotta per il diritto all’uguaglianza.