È uscita da poco, presso Passigli Poesia, la nuova silloge di Emilio Zucchi, Transazione eseguita (pp. 50, euro 10). Giuseppe Conte nella prefazione e lo stesso Zucchi nella nota finale chiamano in causa esplicitamente Pasolini e la sua lezione: il libro, in effetti, può essere ascritto al genere della poesia civile e politica. Ma viene da pensare anche a Roberto Roversi, dei cui versi i critici sottolineavano caratteristiche che potrebbero a loro volta essere attribuite benissimo anche ai versi di Zucchi, su tutte, il loro valore di «possibile resistenza» contro l’«ipocrisia di fondo del mondo contemporaneo».

Più in generale ancora, le poesie di Transazione eseguita sono sprofondate nella realtà, della quale non temono di assumere il tono anche più crudo e prosaico, fino all’ironia indignata e spietata o alla rabbia tout court. Del resto, la prosaicità della silloge è manifesta fin dal titolo, nella sua freddezza giuridica ed economica; ed è quasi una dichiarazione d’intenti, se è vero che poi la medesima freddezza è presente quasi ovunque nel corpo della raccolta, nella quale compaiono – spesso anche solo in pura e semplice sequenza, in un accostamento solo all’apparenza neutrale – parole quali «holding», «smartphone», «web», «mutuo», «tassi d’interesse», «Wall Street», «check-in», «low cost», «memory cash collect».

È QUESTA LA REALTÀ, la contemporaneità con la quale Zucchi si confronta, espressa da parole che ne svelano e rivelano anche da sole la trama. Ed è proprio qui, nel disvelamento involontario di questa trama del reale, che risiede il significato del titolo: cos’altro è la nostra attuale vita di cittadini occidentali, infatti, se non un quotidiano abdicare all’umanità in nome appunto di un’economia e di una freddezza che tutto confondono e nascondono?

Nel diritto, la transazione è il contratto con il quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già insorta o che potrebbe insorgere. Nella nostra contemporaneità, la transazione alla quale abbiamo acconsentito (e che abbiamo già eseguito) è quella per effetto della quale ci siamo ormai abituati all’idea di chiudere gli occhi davanti a qualunque orrore – le «orrende grandi navi, incubo urlante/sui nitriti sfiancati delle gondole/nel sole obliquo», «le mani dei bambini/asiatici e africani/mozzate dagli ingranaggi delle holding», i «manganelli alzati», «il tradimento del mondo» e «della terra» – in cambio di un’illusione di felicità.

PREFERIAMO NON GUARDARE, non sapere, nasconderci nell’ombra, fingere che niente ci riguardi; siamo disposti a tutto, anche a tradire noi stessi, pur di essere o crederci felici (anzi: «felici, felici, ultrafelici»), la felicità essendo diventata quasi un obbligo da assolvere, un vestito da portare. Ma la realtà è immanente, sembra voler dirci Zucchi, perché noi stessi ne siamo parte, e sfuggirle non è possibile, come non lo è sfuggire alla propria responsabilità («Dentro/di te precipita la storia a vortice»).

La conclusione, ammesso che una conclusione esista e che di conclusione sia lecito parlare, è sospesa a metà fra predizione e monito: «non avere rimpianti, abbi rimorsi». Ma si badi: è una conclusione che non ha il minimo sapore di moralismo, bensì sembra solo bruciare di passione e commozione. Come a dire (esattamente come si diceva di Roversi): la poesia come forma di possibile resistenza contro l’«alienazione», la «reificazione», la disabilitazione dell’umano.

Tanto contemporanee e prosaiche nei contenuti e nelle parole adoperate, le poesie di Transazione eseguita riescono nondimeno ad assumere una cadenza addirittura classica nel loro incedere, per via della loro musicalità interna e del ricorso costante all’endecasillabo. Non è una contraddizione né un ossimoro, ma solo il risultato di un vero e sapiente poetare nel quale tutto si tiene, compiutamente.